La nostra Italia è un paese molto ricco di natura. Natura per la maggior parte curata, piantata, addomesticata dalla mano dell’uomo, ma anche luoghi dove le antiche elementari leggi del mondo selvatico possono ancora operare, o hanno ricominciato da poco – dieci, cinquanta anni, due, tre, cinque secoli, poco importa. I recenti sommovimenti imposti e accelerati dal cambiamento climatico che le attività della nostra specie hanno innescato, vanno a colpire il paesaggio, talvolta toccando le abitazioni, le attività lavorative, e talora i boschi, i giardini, gli alberi che decorano le nostre conurbazioni. Non sono in pochi oggi a ricordare come probabilmente la nostra sia un’epoca ancora fortunata, laddove il visitatore può ammirare dimensioni che ci sono state ereditate dal passato, ma che le future generazioni non avranno più la possibilità di contemplare.

I grandi alberi, gli alberi monumentali, i patriarchi verdi, i giganti silenziosi, sono fra i più fragili di queste eredità. I venti sradicano ormai non soltanto singoli alberi ma anche intere montagne, boschi secolari come quelli che abbiano visto precipitare lo scorso autunno in Trentino e Veneto. Questa nuova serie di articoli che ho deciso d’intitolare Arbor maxima, ci regalerà un viaggio fra alcuni re e regine dei nostri ambienti naturali, tesori viventi che non è detto che fra mezzo secolo siano ancora vivi. Di certo non lo sarà chi scrive e forse nemmeno chi leggerà.

PRIMA DENDROSOFIA: I FICUS DI PALERMO. La splendente e caotica città di Palermo affastella stili e quartieri, volti e dialetti, così come i tanti grandi e lussureggianti giardini, dove torreggiano splendide e vigorose piante dai nomi esotici – araucarie, ficus, palme, fitolacche, eucalipti e yucca. Nel corso degli anni ho visitato ripetutamente i giardini palermitani, scrivendone in diversi libri, fotografando questa splendida biodiversità e incontrano le piante secolari e monumentali. La città era apprezzata per la quantità di spazi e decori vegetali fin a partire dal IV sec. a. C., aspetto che venne rinvigorito dagli arabi e dai normanni, mentre venne in parte depotenziato dagli angioini, per poi ritornare a essere apprezzato nel Cinquecento. Da allora la città ha fatto sempre esibizione di giardini molto ben curati meritando quell’etichetta di città giardino che oggi le si attribuisce, nondimeno di Varese, Como, Merano o, inaspettatamente, viste le dimensioni e la storia industriale, Torino.

Non stupisca dunque che nel 1184 il viaggiatore spagnolo Ibn Giubair, visitando Palermo, scrisse: «Superbisce tra le sue piazze e le sue pianure, che sono tutto un giardino… I palazzi reali circondano la gola della città come i gioielli il collo di una giovane donna dal seno prosperoso; sicché il sovrano senza lasciare mai i luoghi freschi e dilettevoli passa dall’uno all’altro dei suoi giardini».

Fra le tante sorprese botaniche a Palermo primeggia la costellazione affollata di ficus della specie australiana macrophylla, che si snocciola, giusto per fare un succinto elenco, all’Orto botanico, a Piazza Marina, nei giardini delle residenze Villa Napoli, Villa d’Aci-Orléans, Villa Malfitano-Whitaker, Villa Giulia, Villa Sperlinga, Villa Niscemi, Villa Sofia, Villa Paino, e poi a Palazzo dei Normanni, Palazzina Cinese, Palazzo Jung, nonché al Giardino Inglese, al Teatro di Verdura, a Porta dei Greci, vivaio Lo Porto, in Viale delle Magnolie, nei giardini dell’ospedale psichiatrico e al giardino Giusto Monaco.

I grandi ficus si presentano come alberi dai tronchi maestosi che crescono come sciabole, la corteccia grigio chiaro simile a quella dei faggi, che a sua volta ricorda la pelle d’un elefante. Alla base questi alberi disegnano veri e propri labirinti con radici alte anche mezzo metro, dette tabulari, vasti decine di metri quadri. Dai rami, folti, sempreverdi, con foglie che ricordano le colorazioni delle foglie della magnolia grandiflora, sebbene siano decisamente più piccole. Ma ancor più, dalle branche, calano lunghe radici aeree che hanno il compito di radicare e irrobustire prima che l’albero si rilanci in estensione. I due esemplari più grandi riposano all’Orto botanico, laddove radica il «patriarca», messo a dimora fra il 1840 ed il 1845, di cui ho contato anni fa tutte le colonne (49), il perimetro massimo (87 metri). A Piazza Marina, nei giardini di Villa Garibaldi inaugurati nel 1864, cresce l’albero considerato il maggiore esotico d’Europa dall’Accademia dei Georgofili di Firenze, un albero più alto del patriarca dell’Orto, ma con una struttura meno articolata, nonché mirabile. Non bisogna lasciarsi perdere l’occasione di visitare i giardini a fine Ottocento detti botanici di Villa Trabia alle Terre Rosse, dirimpettai del Giardino Inglese, entrambi adagiati lungo via della Libertà; superato il ponte su via Piersanti ecco «una prima stazione ombrosissima, a sinistra, dove s’incontra una delle foreste radicali più ampie della città: decine di metri quadri di radici tabulari decorano il terreno, è un bosco scolpito. Tre esemplari monumentali che oramai vivono in simbiosi. Il più spettacolare è quello centrale, che a tre metri si divarica in tre fasci di branche, con radici alte quasi un metro e affioranti. Merita anche soltanto venire qui a riposare, ad ammirare quanta complessità questi alberi sappiano architettare», così scrivevo ne L’Italia è un giardino (Laterza).

Alcuni ficus cooperano e suddividono lo spazio, altri torreggiano e controllano come un faro l’andamento dei passanti – penso al solitario del Giardino Inglese, altri allungano rami per decine di metri come a Villa Malfitano-Whitaker. Il celebre albero di Giovanni Falcone, in via Notarbartolo, è anch’esso un giovane esemplare di ficus. Da alcuni mesi è poi riaperto al pubblico il giardino pensile di Palazzo Reale o Palazzo dei Normanni, che i palermitani chiamano «l’abbraccio»: il grande albero solleva le sue grandi mani e lentamente sta avvolgendo il tronco robusto di un pino parasole o domestico (Pinus pinea), situazione in evoluzione che ha tutta l’aria di finire, una notte, in un albericidio linfario.