La guerra fredda fra il Pd e Matteo Renzi segnala un improvviso innalzamento di temperatura. Dopo il voto con le opposizioni sulla prescrizione, il leader di Italia Viva attacca apertamente il suo ex segretario: «Sullo stato di dritto i riformisti vanno a rimorchio dei 5 stelle. Dispiace per chi ha sempre pensato che il Pd fosse il campo dei riformisti». C’è del vero nell’affermazione. Se non provenisse però da uno dei principali artefici della nuova maggioranza. Che per stringerla, ha subito alzato bandiera bianca su un altro provvedimento fin lì indigeribile per il Pd come il taglio dei parlamentari.

Ma le distanze fra Pd e Italia viva stanno raggiungendo livelli di guardia. E al Nazareno i conti non tornano: «A Renzi la paura del fallimento e gli insuccessi stanno dando alla testa. Ormai attacca solo il Pd. Ha iniziato con il boicottaggio delle elezioni in Emilia Romagna e Calabria per far vincere Salvini».

Che i renziani siano in fibrillazione lo dimostra anche un’altra baruffa scoppiata ieri sul ministro Peppe Provenzano. Il titolare del dicastero per il Sud alla Stampa ha ripetuto alcuni concetti già esposti al seminario di Contigliano. Il tema è il lavoro: «A cinquant’anni di distanza ci vuole un nuovo statuto dei lavoratori. Che sancisca una cosa semplice: a parità di lavoro deve corrispondere parità di diritti e salario». A domanda diretta sull’eventuale cancellazione del jobs act, la risposta non è diretta ma il senso è chiaro: «Un nuovo statuto dei lavoratori richiede una revisione complessiva della disciplina del lavoro, che guardi al futuro, al tempo dell’algoritmo». Una posizione che Provenzano, da responsabile lavoro Pd, ha sempre sostenuto e che, con diversi accenti, oggi sostengono in molti nel Pd. E che in termini generali è anche nella mozione con cui Nicola Zingaretti ha vinto il congresso.

Ma i renziani non ci stanno. «Tutti i dati statistici indicano l’esatto contrario della vulgata tanto in voga a sinistra sulla riforma Renzi: gli occupati sono di più, i licenziamenti di meno, l’occupazione cresce», sostiene Camillo D’Alessandro, citando dati letti in modo molto diverso dai sindacati. Per +Europa «sembra di assistere a un estratto del film ‘Goodbye Lenin». Ma a sorpresa a irritarsi di più sono i renziani nel Pd. Come Andrea Marcucci, capogruppo al senato. «Provenzano è ideologico», dice, «si ricordi di essere un esponente del governo». E nel Pd c’è chi si chiede «se Marcucci è capogruppo del Pd o di Italia viva».

Battute a parte, il monito del senatore in queste ore suona paradossale: «Se proprio dobbiamo ricordare a qualcuno di essere membro del governo, facciamolo con quelli di Italia Viva che sulla prescrizione hanno votato con Salvini», avverte il deputato Michele Bordo. Quanto poi al merito, «forse Marcucci non ha letto bene l’intervista. E comunque, se anche qualcuno esprimesse qualche riserva sul jobs act non si tratterebbe di lesa maestà nei confronti di nessuno». Gli fa eco il collega Marco Miccoli:«Provenzano ha solo ribadito concetti emersi e condivisi nel dibattito di Contigliano» e alcune norme del jobs act vanno riviste, a partire da «quelle che tribunali e Corte Costituzionale hanno definito discriminanti e anticostituzionali».

Al ministro arrivano ovviamente applausi da Leu. Il ministro Roberto Speranza: «Sono d’accordo con lui, bisogna tornare a investire di più sui diritti dei lavoratori». E il deputato Nicola Fratoianni: «Le reazioni stizzite dei dirigenti del Pd alle parole di Provenzano sono disarmanti, nella loro chiusura e nella loro difesa acritica delle politiche dei governi del passato. Quelle politiche che hanno costruito delle autostrade all’affermazione del populismo e del leghismo nel nostro Paese».