Distanze lunghissime da percorrere prima di arrivare a un centro abitato, colline appena ricoperte di vegetazione a perdita d’occhio – e in cima a una di esse una casetta di pastori, isolata dal resto del mondo. È la casa di Marlina, la protagonista di Marlina. Omicida in quattro atti della regista indonesiana Mouly Surya, presentato quest’anno alla Quinzaine des realisateurs di Cannes e da domani al cinema.

Marlina è sola, non ha più nessuno: lo scopriamo subito quando uno sconosciuto, che dice di chiamarsi Markus, bussa alla sua porta ed entra senza essere stato invitato – non c’è niente che la protagonista possa fare per difendersi da lui e i sette amici che lo stanno per raggiungere per rubare tutto il suo bestiame e violentarla. O forse si: Marlina avvelena la loro zuppa di pollo, e con il machete di Markus lo decapita proprio mentre lui la sta stuprando. È la fine del lungo e crudele primo atto, intitolato La rapina.

Siamo in Indonesia, sull’isola di Sumba, e anche se la bellezza dei luoghi lascia senza fiato si tratta, come spiega la regista, della provincia più povera dell’intero Paese, dove non è infrequente imbattersi in ladri armati dai quali è difficile difendersi. E Sumba ha anche un’altra particolarità: è molto più arida di qualunque altro luogo dell’Indonesia, solitamente rigogliosa. Un paesaggio che ricorda quello del western, così come le dinamiche altrettanto selvagge fra persone, regolate dalla legge del più forte.

La protagonista pensa infatti in un primo momento di rivolgersi alla giustizia: portandosi appresso la testa recisa di Markus percorre la lunga strada che la separa dalla più vicina stazione di polizia. Ma le sarà chiaro molto presto che dalla legge non le verrà alcun aiuto, così come da nessun uomo.
Il film di Mouly Surya fa pensare infatti per molti versi a un western di Sam Peckinpah virato al femminile – non solo per l’omaggio alla testa recisa di Alfredo Garcia ma soprattutto per lo spirito di solidarietà e tacita comprensione che qui unisce non banditi, contrabbandieri e fuorilegge, ma proprio le donne: Marlina, l’amica incinta, un’anziana signora che incontrano lungo la strada e anche una bambina che porta il nome del figlio mai nato della protagonista.

Non è con un uomo che Marlina si allontanerà verso l’orizzonte, e anzi la sopraffazione maschile è ciò che ci si lascia alle spalle.
Allo stesso tempo non c’è vendetta né compensazione per i torti subiti, ma lungo la sua strada Marlina resta l’unica padrona di se stessa e del suo destino, oltre che di un futuro ancora da scrivere.