Una inaugurazione di stagione di grande lustro e intelligenza (e naturalmente coraggio) quella del teatro regionale umbro, grazie anche a Brunello Cucinelli, che dell’ente è presidente, e che in occasione dei festeggiamenti per i 40 anni della sua azienda, ha voluto concorrere anche «privatamente» alla produzione de Il Maestro e Margherita (dopo il debutto umbro, in una fitta tournée da novembre a febbraio). Impresa che a primo avviso può suonare disperata, essendo questa la trasposizione in palcoscenico di un capolavoro letterario già di per sé molto complesso, poiché mescola e incrocia narrativamente tre vicende lontane tra loro, nel tempo e nella spazio, per esprimere con poesia la critica radicale al modello sovietico. Il romanzo di Michail Bulgakov come si sa fu pubblicato postumo in occidente dal 1966, mentre era stato scritto negli anni dal 1928 al 1940. Gli stessi in cui anche in altri campi, dalla musica al cinema al teatro, erano emersi artisti di enorme statura, da Schostacovic a Eisenstein a Mejerch’old. Ma anche gli anni quelli che meglio si prestano all’ironia feroce di Bulgakov, in un sistema dove la rivoluzione si era ormai già burocratizzata, e sotto il terrore che aleggiava.

Dunque un romanzo molto poco lineare con le sue vicende narrative incrociate: quella del maestro scrittore e della sua Margherita destinati a un amore comunque infelice; quella di Pilato e della sua scelta politica rispetto al condannato ebreo di cui non si sente convinto, in un dissidio interiore su cui lo scrittore da molto tempo lavora; e poi quella, centrale e onnivora di Woland, il diavolo goethiano parente stretto di Mefistofele, venuto a celebrare uno storico sabba col suo «circo» mostruoso proprio in quella Mosca.

Per fortuna a curare la trasposizione scenica del libro c’è la mano sapiente quanto ferrea di Letizia Russo, in grado di non risparmiarci la complessità e le dipendenze delle tre storie nella prima parte, ma raccogliendole poi in una sontuosa e coerente narrazione unitaria nella seconda parte. E questo dà modo ad Andrea Barracco di costruire una regia, e una narrazione degli avvenimenti, sempre forte da risultare spesso quasi ipnotica, ma nello stesso momento «aperta» a quanto dalle altre vicende proviene. Un bel racconto, inquietante quanto amaro e insieme divertente, dentro la scena (materiali poveri, ma da gran teatro) di Marta Crisolini Malatesta che firma anche i costumi.

Ma il merito è soprattutto della bella compagnia d’attori, orchestrata da uno scatenato e davvero diabolico Michele Riondino, che rinuncia al successo dell’iconografia tv, e con sangue d’attore e piglio espressionista determina e guida tante tragedie sovrapposte, ma forse neanche poi tanto tragiche. Davanti a lui, vittime ma con qualche ombra sulla propria purezza, Francesco Bonomo (il Maestro scrittore nonché Pilato protagonista del romanzo di lui, e quindi sua diretta proiezione) e la straordinaria Federica Rosellini (Margherita dalle molte vite) che in un anno ha già collezionato almeno quattro o cinque ruoli mirabili. Poi c’è tutta la compagnia (una sorta di «stabile» del teatro umbro) dove ognuno intreccia più ruoli, e che bisognerebbe nominare tutti, ma almeno per la lro riconoscibilità Carolina Balucani, Michele Nani e Francesco Bolo Rossini. Anche se si avvia ad essere incancellabile il ghigno davvero «diabolico» di Michele Riondino.