Muffe, pareti sbrecciate, tetti smantellati e vetri di finestre mancanti, vegetazione spontanea disseminata, luce naturale poiché privo di elettricità e interventi artistici: è così, in modo spiazzante, che si presenta al visitatore BienNolo (la 1/a edizione della Biennale d’arte contemporanea di Nolo, il distretto milanese a nord di Loreto) a cura di ArtCityLab, Gianni Romano, Rossana Ciocca, Matteo Bergamini e Carlo Vanoni, aperta fino a domenica.
#Eptacaidecafobia (termine greco che indica la paura del numero 17 e metafora delle paure contemporanee) è il titolo di questa prima edizione ubicata negli spazi dell’ex-Laboratorio Panettoni Giovanni Cova. Come ha precisato Gianni Romano: «L’esperienza maturata in questi pochi anni sul territorio milanese, la reazione di un pubblico che è sempre imprevisto, ci ha insegnato quanto ogni città abbia bisogno di un ArtCityLab, di un laboratorio permanente, che faccia capire alle varie componenti istituzionali e professionali che innovazione culturale significa innovazione sociale».

L’ACRONIMO Nolo scandisce l’operazione di rebranding voluta dal consiglio comunale di Milano, per rivalutare il quartiere tenendo conto dei profondi cambiamenti in corso, dove si amalgano nuovi spazi di coworking e soggetti sociali e che ne legittima la sua riabilitazione spontanea. La fascinazione dell’archeologia industriale anticipa già il concept della mostra che declina un pensiero discordante sulla relazione tra opera d’arte e fruizione pubblica, tra natura e cultura, tra identità territoriale e divenire e che avanza l’utopia di azzardare un display alternativo al format troppo ingabbiato nelle spire dell’art system.

L’INTERO PROGETTO, incuneato sulla transitorietà, si inserisce come collante culturale in una area urbana in trasformazione delineando un orizzonte creativo differente e possibile, un esperimento da monitorare nel tempo per la prospettiva che potrebbe aprire e diffondere altrove.
Forse ciò poteva accadere solo in una città pulsante come Milano, dove l’arte pubblica è fortemente sostenuta. I trentasette artisti invitati, nelle loro differenti modalità, plasmano una idea d’arte pubblica volatile, che si insinua nei ricettacoli degli spazi, diventa quasi impalpabile mentre altre volte si incunea più potentemente ma sempre con intensità.
La pioggia, che ha accompagnato BienNolo si è perfino integrata ad alcune opere, molte delle quali all’aperto, come nel caso della pregnante installazione di Adrian Paci, Il silenzio delle piante ubicata sotto un tetto inesistente. Quasi avvinghiata a un albero allocato in situ, una agile e sottile ellisse di ferro che comprende anche dei sedili (in cui i visitatori possono accomodarsi) ne circonda il suo perimetro naturale, lasciando alla contemplazione della sua natura distrofica.

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SEMPRE A CIELO APERTO si staglia l’installazione di Francesca Marconi Cartografie dell’orizzonte, Transhumus, in cui è esposto un mantello che il visitatore può indossare, frutto di un dialogo fra varie comunità. Federica Perazzoli in All I Need, costruisce uno studio d’artista con materiali precari e anch’esso fruibile e funzionale.

Il poetico intervento di Stefano Arienti, Muffe 1995-2019, realizzato con dei gessetti colorati ricopre una parete di mattonelle incrostate di muffa, che come molte altre opere si metamorfizzerà nel tempo e si radicherà nello spazio. Solitaria è la scultura di Vedova Mazzei Flying Trough, un uccello piantato in una parete umida che sembra cercare il suo nido. V for Victory è la scritta ironica e caustica di Loredana Longo realizzata con colli di bottiglie rotte e frammentate su una parete anonima.

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NEGLI SPAZI CHIUSI, invece, si innestano le opere, di Giuseppina Giordano con la profumata installazione The Wall of Delicasy Ode to America, che allude a una cortina di mattoni e filo spinato ma realizzata con boccioli di rose seccate. Nella stessa sala è l’aerea Odori della Premiata Ditta in cui vengono sospesi a dei fili dei leggiadri bigliettini con dei testi. L’installazione parietale di Sara Rossi ripercorre il perimetro del soppalco con una sorta di tarsia ottenuta incastonando una collezione di cartoline vintage di luoghi dell’area mediterranea.
The Cool Couple, invece, optano per un’opera partecipativa, Turborage, un pilastro in cemento e perlite sospeso al soffitto che costringe il visitatore a «modellarlo» con vibranti colpi di mazze da baseball. Serena Fineschi per Flowers, Trash Series, utilizza chewingum e saliva su cartoncino. L’’idea inclusiva che domina la visitatissima BienNolo, si estende a una programmazione off, in cui il 26, con l’evento Habitat, l’intera Nolo, dal tramonto all’alba, sarà animata da visite nelle case, nei negozi e negli studi dei creativi che pullulano in zona – tra questi quello di Emilio e Scilla Isgrò. Infine, la continuità del progetto sarà mantenuta dal «Premio BienNoLo», un concorso per artisti rivolto alla produzione di un’opera ideata per il quartiere.