Un anno fa i terremotati la neve l’hanno vista solo in televisione. Erano ancora quasi tutti negli alberghi della costa adriatica, e il mercurio dentro alle colonnine dei termometri non era mai calato sotto lo zero: quasi una primavera per gente abituata a stare anche a meno venti tra le montagne. Questo a ridosso del cambio di stagione è, di fatto, il primo vero inverno dello scontento dei terremotati: nella lingua di terra a cavallo tra le Marche, il Lazio, l’Abruzzo e l’Umbria la vita scorre lenta come sempre, incerta come sempre, in attesa di una svolta che non arriva, come sempre.

DALL’ENTROTERRA maceratese arrivano notizie sconfortanti: i boiler delle casette si sono congelati, l’acqua non scorre e, se lo fa, è un filo gelido inservibile. Una situazione che ad Arquata del Tronto hanno già vissuto qualche mese fa, e che adesso viene fronteggiata come si può, cioè lasciando i rubinetti quasi sempre aperti, in modo da evitare che il flusso liquido si trasformi in un pezzo di ghiaccio. Il Comune di Amatrice è arrivato anche a raccomandare questa pratica con una nota ufficiale, aggiungendo che «le nuove urbanizzazioni non sono state testate per climi molto rigidi». La cosa è vera solo in parte, ma bisogna tenere a mente che qui il sindaco Sergio Pirozzi è in piena campagna elettorale per le regionali di domenica, e quindi i suoi attacchi alla carentissima gestione del post sisma sono tanto attesi quanto ripetitivi.

I MEZZI SPAZZANEVE lavorano praticamente senza sosta anche all’interno delle aree con le casette, si cerca di lasciare le strade libere, ma non è facile, perché il cielo non si apre mai e soltanto negli ultimi due giorni si è depositato oltre mezzo metro di strato bianco. Soffre molto la struttura adibita al pronto soccorso, con gli operatori costretti a lavorare in un container in cui i termoconvertitori vanno in tilt appena la temperatura scende sotto lo zero, cioè quasi sempre a parte le ore centrali della giornata. «Le Sae comunque sono calde», spiega Michele Franchi, il vicesindaco Pd di Arquata, già feticcio di Renzi alle primarie e ora lasciato solo a gestire una situazione complicata, in cui la delusione per quello che non si è fatto supera la soddisfazione per il poco che funziona.

OLTRE ALLA NEVE, a preoccupare sono le gelate: il sale è stato gettato a tonnellate sulle strade, e la situazione sembra reggere; il problema è che il peggio è previsto per oggi, quando i termometri al massimo arriveranno a cinque gradi sotto zero. Le scuole chiudono, un po’ per reale necessità un po’ perché le richieste in questo senso sono state tante: le famiglie preferiscono tenere i bambini dentro casa, ci sarà tempo per recuperare le lezioni.

L’eccezione è l’Umbria: i terremotati si sono svegliati lunedì mattina sotto alla neve, ma nessun servizio è stato interrotto. Il sindaco di Norcia Nicola Alemanno esulta: «Siamo l’unico comune dell’Appennino ad aver deciso di tenere aperti tutti gli istituti scolastici, anche perché siamo dotati di un piano antineve che funziona perfettamente». Il fronte istituzionale prova a mostrare il suo volto più sorridente, anche se si è in campagna elettorale, nelle zone terremotate sembra esserci una specie di fair play tra centrodestra e centrosinistra: pochi comizi, poche iniziative, plance per i manifesti vuote. Il governo ha deciso di non metterci la faccia, le opposizioni restano a guardare. Sin troppo facile immaginare che, come già accaduto per il referendum costituzionale, nelle zone terremotate l’affluenza sarà più bassa della media nazionale. Le persone sembrano stanche, sia delle promesse non mantenute, sia degli strepiti di chi non conosce i problemi reali di questo territorio e prova a raccattare qualche voto agitando demagogie varie ed eventuali.

SOTTO LA NEVE, intanto, tutto è fermo. I terremotati ormai non hanno più nemmeno la forza per protestare, e vivono con sconforto la propria esistenza in una zona che sembra stia facendo di tutto per rendersi inospitale: prima i terremoti dell’anno scorso, poi gli inverni rigidi e spietati. Dalle finestre delle casette la vita non scorre: lo stato di emergenza sarebbe dovuto scadere alla fine del mese, ma è stato appena prorogato per altri sei mesi. La ricostruzione non è mai cominciata, né si sa quando comincerà. Ci dovrà pensare il prossimo governo. Forse.