Se a ogni muro si associasse un volto, coglierne l’impatto diventerebbe un fatto di empatia. Cosa significa un muro nella vita di una persona, che si tratti di barriere fisiche e politiche, nell’epoca della disumanizzazione di metà dell’umanità non è così immediato se alla comunità succube non si dà un nome. Darle una storia diviene un atto politico, prima che giornalistico. Lo aveva fatto nel 2009 Christian Elia, giornalista italiano, condirettore di «Q Code», in occasione del ventennale della caduta del Muro di Berlino: il libro si chiamava Oltre il muro, pubblicato dalle edizioni Marotta e Cafiero.

DI ANNI, da allora, ne sono passati altri dieci. L’anniversario berlinese, con la sua paradossale e falsa celebrazione del ritorno alla democrazia, ha toccato quota 30 e di muri in giro se ne vedono sempre di più. Un boom di muri, in questo decennio inaugurato dall’inizio della crisi economica e proseguito con incattivimento sociale, povertà economica seguita a miseria culturale, individuazione nell’Altro del nemico responsabile di tutti i mali. Elia, allora, di libro ne ha scritto un altro: stavolta si chiama, sottilmente, Oltre i muri. Storie di comunità divise (Milieu, pp. 128, euro 13,90).
Elia riprende i reportage del decennio scorso, scritti camminando lungo tante barriere, per vedere a che punto si è arrivati. Il risultato è amaro: i muri sono aumentati, ovunque, e quelli che nel 2009 sembravano in procinto di cadere sono ancora là, solidi quanto sconsolanti. L’elenco è lungo e non risparmia alcun continente: c’è Cipro, che da ultimo muro europeo è diventato il penultimo dopo la trasformazione dell’Europa in fortezza anti-migranti; ci sono i muri mediorientali, dalla Palestina all’Iraq, dalla Siria allo Yemen; c’è la vecchissima barriera marocchina, in cemento e mine, che spezza in due il Sahara Occidentale; c’è quello in costruzione tra Stati uniti e Messico e quello – il più antico di tutti – tra le due Coree.

SESSANTACINQUE i muri che si possono contare sul mappamondo, cicatrici a cui Elia dà un nome, quello di chi ogni giorno li subisce. Accanto all’analisi storica e politica delle varie barriere studiate, l’autore racconta la vita quotidiana delle centinaia di milioni di persone che ne subiscono gli effetti. In termini di divisione sociale, separazioni familiari, confische di terra, demolizioni di case, limitatissima libertà di movimento, militarizzazione delle comunità. Anche morte, rintracciabile accanto alle barriere di cemento, filo spinato e trincee, ma individuabile anche in quelle invisibili della rotta balcanica (fatte di manganelli e deportazioni notturne) o del Mediterraneo che da mare di incontro e vita si è trasformato in un cimitero.
E alla fine a emergere è la chiara percezione che quando si costruisce un muro per chiuderci dentro l’Altro la prigione è comune. Il di qua e il di là di un muro sono due chiusure, non una sola.