Il sentiero è aperto e cnduce alla nuova maggioranza. Il primo senatore del Movimento 5 Stelle a parlare in aula è Giorgio Fede, che annuncia la linea della «fiducia vigile» a Mario Draghi e al suo governo. Di lì in poi la strada viene percorsa dalla grande maggioranza dei senatori grillini. Seguendo le tracce lasciate dalle loro parole si ritrovano quelle di chi in questi giorni dentro ai gruppi parlamentari ha cercato di battere il percorso che consentisse la svolta al M5S auspicata da Beppe Grillo.

Il piemontese, e No Tav Alberto Airola, ad esempio, usa parole impensabili solo fino a poche settimane fa: «Quando suona la campana per l’Itali gli obiettivi non possono che essere univoci» dice assicurando collaborazione ai ministri, tutti quanti: «Non mi interessa a quale partito appartengano, mi interessa dove vogliono arrivare». Per la senatrice messinese Grazia D’angelo il M5S sarà in maggioranza al fine di «controllare il rispetto di precisi indirizzi politici, pur nella inevitabile dialettica della nuova articolata maggioranza». E poi ci sono i temi ambientalisti, che hanno informato buona parte del discorso di Draghi e ai quali i senatori 5 Stelle si appigliano.
Dice il senatore Ruggiero Quarto, geologo pugliese: «Il M5S ha veicolato nel parlamento l’idea di un ambiente onnicomprensivo e poliedrico – spiega – Siamo scardinando concezioni obsolete di scissione delle dinamiche socioeconomiche che relegano l’ambiente al loro contorno, come fastidioso fardello». L’altro motivo che ha convinto i dubbiosi è la disciplina interna, l’impegno ad aderire al voto degli iscritti: «Onorerò il voto di Rousseau anche se la penso diversamente» annuncia Danilo Toninelli, che non lesina parole di critica: «Il M5S è nato per dare voce a quegli italiani pressati dai banchieri. Ci aspettiamo che Draghi dia risposte al popolo italiano e non solo alle élite che lei quando stava alla Banca d’Italia avrebbe dovuto sorvegliare di più».

Cinzia Leone annuncia il suo sì sofferto tra le lacrime. Restano irremovibili per il no Bianca Laura Granato e Mattia Crucioli, assieme a Rosa Abate, Luisa Angrisani e Wilma Moronese. A questo punto si aspettano misure disciplinari, le aveva minacciati Vito Crimi nel corso delle assemblee parallele, alla camera e al senato, cui aveva partecipato. Ma sul potere di Crimi e degli organismi di garanzia attualmente in carica di prendere provvedimenti si apre un altro fronte. Ieri si è conclusa la seconda votazione sulla nuova governance. Hanno votato in pochissimi, appena 11 mila su meno di 120 mila, ma la direzione collegiale è approvata. Davide Casaleggio per bocca dell’associazione Rousseau annuncia sul Blog delle stelle: «Da oggi termina la reggenza della figura del capo politico, lavoreremo per consentire agli iscritti di poter eleggere il prima possibile l’organo collegiale». A questo punto un’altra delle senatrici schierata per il no a Draghi insorge: «Crimi non può più decidere nulla in nome e per conto del M5S. Comitato di garanzia e Collegio dei probiviri possono solo agire per l’ordinaria amministrazione».

L’esito del voto è motivo di scontro ma diventa anche motivo di riflessione per gli oppositori del nuovo corso come Nicola Morra (che pure fino a ieri mattina si diceva pronto a non votare Draghi «al 99,9%»): se dovessero abbandonare adesso la nave non potrebbero competere per la nuova leadership.

Come se non bastasse, esplode anche la questione Virginia Raggi. La sindaca di Roma soffre il fatto che Giuseppe Conte sosterrebbe la discesa in campo nella capitale dell’ex ministro dell’economia Roberto Gualtieri. Raggi soffre il nuovo scenario politico nazionale e teme di finire all’angolo. Tanto più che un gruppo di consiglieri comunali della sua maggioranza sarebbe pronti a formare una Lista Conte alle prossime amministrative. Quindi cerca di anticipare tutti sul tempo,come ha fatto in passato altre volte: «Basta ambiguità e giochi di palazzo – scrive su Facebook – Lo scorso anno, mi sono candidata in piena trasparenza. Se qualcuno ha altri piani sulla città, lo dica apertamente». Al suo fianco si schierano Lezzi e «da semplice cittadino» Alessandro Di Battista. Ma anche il sottosegretario uscente Stefano Buffagni e Luigi Di Maio.