Se ne accorse Giorgio Manganelli, durante il reportage poi pubblicato in L’isola pianeta: «Non si può percorrere l’Islanda con i criteri culturali con cui si può indagare un qualunque paese europeo; non si può andare in cerca del romanico, del rinascimento, del barocco; tutta la splendida cultura islandese sta racchiusa nelle saghe, scritte o trascritte tra Due e Trecento, nelle quali si racconta il mito e la storia dei popoli scandinavi».

Niente architettura, né pittura, né scultura, quindi, bensì un popolo di grandi scrittori: è risaputo che molti islandesi pubblicano qualcosa nel corso della loro esistenza, magari un libro di poesie, forse a proprie spese e in bassa tiratura, da regalare ad amici e parenti – vedere il proprio nome sulla carta stampata è un’ambizione che fa leva sulla profonda natura letteraria degli islandesi. E nell’isola dei ghiacci i libri si leggono anche: le statistiche, fino a qualche anno fa, vedevano gli islandesi al primo posto al mondo per libri letti pro capite. Fin dai tempi in cui si scriveva sulla pergamena, cercando di non sprecare il materiale e di far stare più storie possibile in poche pagine, i libri sono un bene di lusso, il regalo di Natale per eccellenza, tanto che il mercato vi ruota intorno: la pubblicazione dei libri (cartonati, costosi, eleganti) si concentra tra i mesi di settembre e novembre per dare origine al ben noto jólabókaflóð, «l’inondazione natalizia di libri».

Il trend appare tuttavia in recessione e la cosa preoccupa gli editori islandesi, che in un mercato di dimensioni così lillipuziane cominciano a tentare di spalmare le uscite in maniera più uniforme. La drastica riduzione delle vendite di libri registrata negli ultimi anni è un grido d’allarme: la prima ministra – laureata in letteratura islandese, esperta di crime fiction – ha suggerito di ridurre del 25% i costi di pubblicazione; dal Parlamento arriva la mozione di abolire del tutto l’iva sui libri, che nel 2015 era passata dal 7% all’11%, ma per il momento niente di concreto.

A questo quadro si può aggiungere un altro fattore: tra i due milioni di turisti che ogni anno visitano l’Islanda, non sono molti quelli che prima di partire si accostano alla sua pur ricca produzione letteraria. Le iniziative islandesi per promuovere un turismo letterario sono ancora poche. Ci sono le passeggiate letterarie gratuite per le strade di Reykjavík organizzate dalla biblioteca; c’è il casale di Sænautasel nelle aree interne, che pare abbia ispirato quello di Bjartur in Gente indipendente; c’è la casa-museo di Halldór Laxness a Gljúfrasteinn, la fondazione di Gunnar Gunnarsson a Síða, il centro culturale di Hali dedicato a Þórbergur Þórðarson, ospitato in un edificio nascosto dietro una lunga parete di libri – tutte strutture spesso ignorate dai turisti italiani, perché nella nostra lingua mancano ancora i riferimenti letterari per poterle apprezzare.

La traduzione di opere islandesi in Italia, rispetto ad altri paesi europei come Francia e Germania, è ancora piuttosto lacunosa. I lettori hanno accolto con entusiasmo i gialli di Indriðason, in misura forse minore quelli di Yrsa Sigurðardóttir e di recente anche quelli di Ragnar Jónasson o di Árni Þórarinsson, che invece spopolano oltralpe; la fertilità del trend giallistico continua a stupire, in effetti, visto che l’Islanda è un paese afflitto, sì, da mali sociali globali ma con un bassissimo tasso di criminalità, che rende difficile immaginarvi scenari delittuosi.

La letteratura novecentesca è invece ben poco rappresentata: la vasta bibliografia di Laxness ci era del tutto ignota, a parte qualche titolo tradotto in Italia da lingue ponte negli anni Sessanta, sulla scia del premio Nobel per la Letteratura ricevuto nel 1955, ed è stata per fortuna aggredita in anni recenti dall’editore Iperborea. Lo stesso vale per Gunnar Gunnarson, che nei primi anni del Novecento scelse di scrivere in danese sperando in un pubblico più ampio, mentre del tutto inesistente resta ancora Þórbergur Þórðarson, e insieme a lui molti altri scrittori che consentirebbero di dipingere un quadro molto più dettagliato della letteratura del XX secolo e di collocare ogni autore nel giusto contesto: solo per citare qualche nome, Indriði G. Þorsteinsson, i romanzi pastorali della tradizione, le voci femminili e dissacranti come quelle di Ásta Sigurðardóttir e Svava Jakobsdóttir (di cui è in uscita in italiano il capolavoro surreale L’affittuario, Edizioni ETS), ma anche Guðbergur Bergsson; oppure, per passare al nuovo millennio, Sjón (di cui fortunatamente, all’ormai introvabile La volpe azzurra si va ad aggiungere Mánasteinn, Federico Tozzi Editore), e tanti altri autori che ancora in Italia mancano all’appello, o che si sono persi nel mare magnum delle pubblicazioni editoriali, magari perché poco valorizzati oppure rimasti nell’ombra e dimenticati per chissà quali strane dinamiche: Guðrún Eva Mínervudóttir, Bragi Ólafsson, Oddný Eir Ævarsdóttir, e molti altri.

Se la maggior parte dei turisti diretti in Islanda si limita a sfrecciare in macchina lungo la Statale n.1 in dieci giorni, anche i lettori italiani accedono a una letteratura che invece offre ancora molte lande inesplorate. E proprio come il paesaggio, gli autori islandesi saprebbero offrirci prospettive diverse, scorci variabili come il clima, scabri come le scogliere battute dal vento o morbidi come le colline coperte di muschio, fragorosi come le cascate, stridenti come i gridi degli uccelli marini. Una terra da percorrere con i criteri culturali giusti, di chi sa che la penna creativa islandese è da sempre estremamente fertile e produttiva.