Quando Luigi Di Maio si è riunito in conclave con i senatori del M5S che dovranno decidere sull’autorizzazione a procedere per Matteo Salvini, si è capito che questa vicenda precipita innanzitutto su di lui e sulla linea politica della quale è custode assieme agli altri vertici grillini entrati al governo e disposti ad auto-denunciarsi pur di uscire dall’empasse.

Da due giorni il Movimento 5 Stelle è in bilico, sospeso tra la difesa di un principio identitario come la negazione di ogni immunità e la fedeltà alla maggioranza di governo, alla quale è appesa la mission del suo attuale «capo politico». Di Maio stesso, nei giorni scorsi, aveva provato a cavarsela affermando che in fondo era lo stesso Salvini che voleva essere processato. Il suo omologo leghista e ministro dell’interno lo ha poi gelato ha scaricando sul capo politico grillino la responsabilità di concedere l’autorizzazione a procedere.

Oggi si apre il dibattito in commissione. Serviranno all’incirca due settimane prima che l’organismo del senato si esprima con voto palese. Lì potrebbero esserci alcuni dissidenti. Pallottoliere alla mano, non creerebbero problemi alla maggioranza ma resterebbe il dato politico. Alessandro Di Battista cerca di smarcarsi, sottolinea come i ministri grillini siano pronti ad affrontare un processo eventuale, a differenza di Salvini. Anche lui, però, si è accorto di come la base lentamente sia scivolata su posizioni sempre più simili a quelle salviniane.

Per capirlo basta guardare i commenti che si susseguono sotto ogni post proveniente da un eletto grillino che minimamente cerchi di sfumare la posizione di chiusura totale verso i migranti. Pochi giorni fa la parlamentare europea Laura Ferrara, non certo una dissidente, ha provato ad abbozzare una linea che assegnasse al presidente del consiglio Giuseppe Conte il compito di mediare con l’Europa per trovare una soluzione e costruire vie di accesso legali ai migranti.

Ha generato un diluvio di reazioni filo-salviniane ad opera di elettori indignati. Il risultato è che adesso Conte mostra il petto per difendere Salvini. Tra i membri della commissione per le autorizzazioni a procedere Di Maio ritrova un personaggio di cui pensava di essersi liberato. Tra i parlamentari che dovranno decidere in prima istanza sulle sorti di Salvini siede l’ex senatore M5S Gregorio De Falco, che solo pochi giorni fa ha annunciato ricorso legale contro la misura di espulsione nei suoi confronti. De Falco maneggia con argomentazioni tecniche, quasi freddamente, la vicenda. Quando lo interpelliamo ha appena finito di leggere le carte del tribunale dei ministri. È ansioso di seguire il dibattito in commissione ma si è fatto un’idea abbastanza precisa della situazione e delle sue ricadute politche.

«Bisogna distinguere tra un atto politico e un atto dettato da ragioni politiche – dice l’ufficiale di marina prestato alla politica – A me risulta che un atto politico abbia valenza generale, non sia vincolato ad un caso specifico come è avvenuto nel caso della Diciotti, che per di più è una nave da guerra della flotta italiana».

Rispetto alle difficoltà del suo ormai ex partito nel venire meno al dogma dell’opposizione a ogni forma di immunità, De Falco riflette: «Non penso che l’autorizzazione si debba concedere sempre. Questo istituito ha una sua ragione di essere, salvaguarda la divisione tra poteri. Però se si sceglie di sottrarre una questione al suo giudice naturale, questa decisione deve essere motivata». In ballo c’è la credibilità del Movimento 5 Stelle: «Sa cosa dicevano i latini? – continua De Falco – Electa una via, non datur recursus ad alteram. Al contrario, la gestione di Di Maio è ondivaga. Al momento fare il gioco di Salvini porta consenso, alla lunga non paga». De Falco dubita che tutti gli elettori accettino di sbarrare la strada ai giudici. Mediante un artificio come l’autodenuncia, il Movimento 5 Stelle si smarca ed eviterebbe fratture nel breve periodo. Ma la mossa rappresenta un passo ulteriore, per di più poco prima delle elezioni europee, verso l’egemonia della Lega di Salvini sul governo Conte.