Omnia sunt communia. Il Mondiale alla tv è di tutti, belli e brutti per dirla alla Weah. Più che Piersilvio Berlusconi – come noto le 64 partite sono trasmesse in chiaro da Mediaset – bisogna però ringraziare Giampiero Ventura: l’incapacità di tenere insieme lo spogliatoio, la scellerata panchina di Insigne nel ritorno con la Svezia. Senza Italia, i diritti tv per tutti gli incontri del mondiale sono stati acquistati per 80 milioni, la metà di quanto sarebbero costati con gli azzurri, e a Cologno Monzese hanno capito che sarebbe stato più redditizio rendere l’intera manifestazione visibile a tutti.

Con la vendita dei pacchetti pubblicitari completi a una sessantina di clienti, molti dei quali non avevano mai investito nel pallone, sono rientrati dell’investimento prima ancora del fischio d’inizio. Poi hanno cominciato a guadagnare con i pacchetti. Senza Italia, inoltre, l’audience non dovrebbe crollare più di tanto, visto che agli ultimi due Mondiali gli azzurri sono usciti al girone. E che l’alternativa erano le repliche del Tenente Colombo. Così Mediaset ha potuto mettere in campo un’offerta produttiva monstre: cinquecento tra tecnici e giornalisti, di cui un centinaio in Russia, per qualcosa come mille ore di programmazione. Le partite scorrono via bene, lo spettacolo in campo lo fanno i giocatori – in queste prime partite la meraviglia è anche scoprire e innamorarsi di perfetti sconosciuti – e le voci di Sandro Piccinini e Pierluigi Pardo accompagnano il gioco senza l’enfasi eccessiva dei telecronisti Sky. Il problema è il contorno. Nessuno si aspettava reportage sull’economia russa, approfondimenti sugli aspetti filosofici del pallone, ma la seconda serata è imbarazzante.

Se Tikitaka è essenza del sistema culturale cui fa riferimento, una replica infinita nei circuiti locali della stessa televendita, indipendentemente dal fatto che si venda calcio, cinema, una batteria di pentole o una mountain bike, il programma resta comunque godibile. A tratti divertente. Non fosse altro che si parla di calcio e si mostrano interviste e azioni delle partite. L’orizzonte degli eventi è Balalaika. Qui il pallone scompare, lasciando spazio a una sequenza infinita di carrellate soft porno sul modello di Colpo Grosso. Un nulla totale, cui mancano conduzione, ritmo e scrittura. E anche gli ospiti, smarriti personaggi in cerca di autore il cui comune denominatore è la chirurgia estetica, vecchi comici pallida imitazione di loro stessi.

Spiace soprattutto assistere al crollo della Gialappa’s, che dopo aver rivoluzionato il racconto del calcio si è ridotta a biascicare volgari e vomitevoli battute sessiste. Restano le partite, per fortuna. Per quanto ancora non si sa, visto che in Italia sono seguitissime trasmissioni dove si mostrano i gol sulla lavagna e gli ospiti sono personaggi variopinti che urlano cose a caso, al cui confronto il Processo del Lunedì era un seminario su Lacan, e anche le produzioni sportive Rai e Sky da anni puntano al trash di contorno, come se i novanta minuti di gioco fossero un inutile e fastidioso orpello. Ma per adesso ci sono, e sono di tutti e per tutti. Godiamocele.