Visioni

«Tra due mondi», il tradimento dell’artista per raccontare la vita

«Tra due mondi», il tradimento dell’artista per raccontare la vitaJuliette Binoche in «Tra due mondi»

Al cinema Il nuovo film di Emmanuel Carrère, dal libro inchiesta sul precariato «invisibile» di Aubenas. Una scrittrice «diviene» donna delle pulizie sui traghetti verso l’Inghilterra

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 7 aprile 2022

Marianne è una scrittrice, nel suo nuovo libro-inchiesta vorrebbe dare voce «agli invisibili», coloro cioè che vivono quotidianamente la nuova economia sociale di precariato, sfruttamento, umiliazione. Che sono costretti a accettare lavori sottopagati, tipo pulire i bagni pubblici a 7 euro l’ora e in tempi velocissimi pena il licenziamento, che devono fare i conti su ogni cosa, il cibo, le bollette rinunciando ai vestiti, alle uscite serali, a qualsiasi piacere perché anche un minuto dedicato a sé stessi è un lusso specie se ci sono figli piccoli da mantenere a cui non vogliono far scontare le incertezze. Come fare a raccontarli, a restituirne l’esperienza di vissuto fuori dalle statistiche o dai numeri di un dibattito pubblico?

MARIANNE decide di cambiare identità, diviene una donna divorziata, disoccupata, con una laurea ma senza esperienza lavorativa visto che il marito che l’ha lasciata all’improvviso le ha sempre garantito una vita di agi. Si sposta a Caen, nel nord della Francia, e inizia la trafila delle agenzie interinali per un posto come donna delle pulizie.

Tra due mondi è il ritorno al cinema da regista di Emmanuel Carrère, tratto dal libro-inchiesta di Florence Aubenas, Le quai de Ouistreham (L’Olivier, 2010) – che era stato portato a teatro nel 2018 da Louise Vignaud. Giornalista per molti anni a «Liberation» – era inviata in Iraq dove venne rapita nel 2005 e rimase prigioniera molti mesi – ora a «Le Monde», Aubenas per scriverlo si è «infiltrata» sei mesi tra le donne delle pulizie lavorando un po’ ovunque ma soprattutto sul traghetto che collega la Francia alla Gran Bretagna dal porto di Ouistreham (e Ouistreham era anche il titolo originale del film) a Portsmouth, documentando le condizioni a cui le lavoratrici e i lavoratori sono sottoposti: 230 cabine da pulire per 4 minuti ciascuna, modello catena di montaggio senza diritto alla pausa, 60 letti da rifare in un’ora e mezzo – «Meglio pulire gli spazi pubblici si fa meno fatica anche se sono più disgustosi» dirà a un certo punto il personaggio di Marianne. E la Brittany Ferries citata per le condizioni a cui costringe il proprio personale ha rifiutato i permessi per girare a bordo dei suoi traghetti.

Nelle notti fredde di nebbia della Normandia i lavoratori si aggirano come ombre incrociando altre ombre, quelle dei migranti che fuggono prima del giorno i poliziotti per non farsi portare via coperte e scarpe. E passano da un lavoro massacrante (e precario) all’altro per mettere insieme un salario da sopravvivenza. Carrère nel suo adattamento – scritto insieme a Hélène Devynch – sposta però l’asse della narrazione dalla testimonianza documentale a una riflessione che investe soprattutto il ruolo dello scrittore (e della scrittura) nel suo rapporto col mondo, e il sentimento del tradimento che contiene – un po’ come avviene nel suo libro L’avversario.

Uno «slittamento» che non perde di vista la necessità all’origine del lavoro di Aubenas di illuminare le vite di moltissime persone oggi, e anzi ne rende più evidenti i conflitti proprio grazie a questa diversa prospettiva. Il sé e l’altro, il «narcisismo» d’artista e il reale: un terreno accordato alla poetica dell’autore che costruisce il suo dispositivo interrogando quell’incontro mancato, sospeso «tra due mondi» o che forse non può esistere al di là dell’esigenza narrativa.

COSA significa condividere la fatica e la durezza sapendo che comunque si è da un’altra parte, che si appartiene appunto a «un altro mondo» con diversi privilegi e certezze, che la propria esistenza è lontana da questa fragilità? Come si sentiranno gli altri coi quali Marianne si condivide quel pezzo di vita quando lo scopriranno? Presi in giro? Offesi? Traditi? E soprattutto quale è la responsabilità di chi si pone in questa relazione?

A Marianne – una magnifica Juliette Binoche che sostiene la scommessa del film a cominciare dall’equilibrio nella condivisione della scena con gli attori non professionisti- Carrère mette di fronte quasi come un doppio, o uno specchio, la figura di Christelle incarnata da Hélène Lambert, attrice non professionista e straordinaria come Evelyn Boree, figura storica di quell’universo lavorativo che interpreta il personaggio di Nadege, la responsabile dei pulitori del traghetto. Tre figli piccoli che cresce da sola, rabbia e tenacia, Christelle tiene testa alla durezza della vita. Diventano amiche, dividono la sigaretta, il caffè, il tragitto verso il lavoro. «Quanto guadagni tu? Cosa ti importa di questo quando tornerai a casa?» sarà la domanda che fa a Marianne con dolore e frustrazione quando scopre per caso tutto. All’improvviso Marianne che era fin lì «una di loro», che hanno accolto e aiutato è divenuta un’estranea, appartiene a un’altra parte di società – a un’altra classe si sarebbe detto un tempo; è qualcuno che li ha usati, manipolati seppure con un obiettivo a fin di bene.

LA SCRITTURA precisa di Carrére e di Devynch modula la tensione sul «segreto» di Marianne, il suo divenire un’altra: sappiamo con lei che potrebbero riconoscerla, smascherarla, eppure pian piano il suo essere lì riempie di «verità» i gesti del lavoro, la stanchezza, i legami e i dubbi, il timore al pensiero rivelarsi. È in questo spazio di conflitto del personaggio, dove si moltiplicano le domande, che Carrère fa deflagrare con prepotenza la realtà nelle sue variazioni, in forma di materia sfuggente che viene restituita senza semplificarla.

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