Nuova chiamata ai seggi domenica 24 in Turchia. Si vota sia per eleggere il nuovo parlamento e il presidente della Repubblica. Inizialmente previste per fine 2019, il presidente in carica Recep Tayyip Erdogan ha deciso di giocare d’anticipo e convocare le elezioni con un anticipo di un anno e mezzo. A spingerlo verso questa mossa l’economia turca che traballa – e con essa il suo consenso popolare – e la voglia di mettere subito mano ai superpoteri che la riforma costituzionale dell’anno scorso garantisce al nuovo presidente.

A SFIDARLO ALTRI CINQUE candidati agguerritissimi e per la prima volta uniti in un fronte comune. A cominciare da Muharrem Ince per il partito repubblicano Chp, il più accreditato a sfidare Erdogan in un eventuale secondo turno qualora nessuno raggiunga il 50%+1 di preferenze già questa domenica. Più defilati nella corsa alla presidenza gli altri candidati. Meral Aksener ha fondato il nuovo partito di destra IYI e si propone come alternativa per l’elettorato nazionalista che appoggia Erdogan sin dal fallimento del processo di pace tra lo stato e il Pkk.
Temel Karamollaoglu e il suo piccolo partito islamista Saadet cercano di fornire ai conservatori un’altra scelta rispetto al Reis e alla sua deriva autoritaria. Questi due partiti hanno formato un’Alleanza Nazionale con il Chp e rappresentano la sfida all’altro sodalizio, quello tra il partito di giustizia e sviluppo Akp di Erdogan e il partito ultranazionalista Mhp di Devlet Bahçeli. L’outsider Dogu Perincek e il suo partito Vatan, fuori dall’alleanza, non sembrano poter giocare un ruolo determinante.

E CORRE DA SOLO anche il partito della sinistra libertaria Hdp, che ha candidato alla presidenza il suo ex co-leader Selahattin Demirtas, nonostante sia detenuto dal 2016 nel carcere di Edirne pur senza alcun verdetto di condanna. Una candidatura di forte protesta e dall’alto valore simbolico, per un partito come l’Hdp che dal 2015 ha subito un’intensissima persecuzione da parte delle autorità statali, che ne hanno imprigionato centinaia di appartenenti, destituito decine di sindaci e impedito con ogni mezzo la mobilitazione per la campagna elettorale.
Proprio l’Hdp si presenta come l’ago della bilancia della competizione in parlamento: se dovesse superare la soglia di sbarramento del 10%, aumentano considerevolmente le possibilità che Erdogan, pur ottenendo la presidenza, non abbia la maggioranza parlamentare e la nuova potentissima presidenza potrebbe trovarsi di fronte un parlamento ostile.

L’UNIONE DEL FRONTE anti-Erdogan rappresenta una buona notizia per le opposizioni al regime autoritario erdoganiano, ma anche il preoccupante segnale di come l’ingombrante personalità del Reis turco, al timone del paese da sedici anni, stia intrappolando il destino del paese in un aut aut centrato sulla sua persona, a scapito del dibattito politico. Ma così come è stata l’economia a garantire il dominio di Erdogan, è l’economia che scuote ora il suo scranno e minaccia di farlo cadere. La crescita spumeggiante ad oltre il 7%, a cui Erdogan non intende rinunciare, è oggi pagata carissimo in termini di inflazione e svalutazione della lira turca.

COSÌ IL CARO VITA INCIDE sempre più sui risparmi delle famiglie, gli indispensabili investimenti stranieri faticano ad arrivare, mentre le aziende fanno sempre più fatica a ripagare i debiti contratti in valute forti come dollaro ed euro.

Il consenso popolare si sgretola, il mondo degli affari mugugna e diventa impossibile attendere fino al 2019: meglio votare subito. Chiunque vinca si ritroverà tra le mani la rovente situazione dell’economia turca, ma avrà dalla sua il nuovo assetto presidenziale, che entra in vigore proprio con queste elezioni, e regala all’uomo in carica poteri pressoché illimitati tramite decreti e un parlamento in buona parte esautorato dalla sua funzione di controllo. Non potendo giocare la carta dell’economia, l’aggressiva campagna di Erdogan è stata improntata sulla sicurezza e sull’interesse nazionale, in una retorica che vede gli avversari politici come complici del terrorismo e la crisi economica il prodotto di un complotto internazionale per un cambio di regime.

LE OPERAZIONI MILITARI anticurde in Siria ed Iraq aizzano il sentimento nazionalista. A finire nel mirino degli attacchi di governo anche l’Osce, che nei giorni scorsi ha rilasciato un rapporto ad interim in cui denuncia il completo sbilanciamento della campagna elettorale a favore di Erdogan, gli iniqui emendamenti alla legge elettorale e l’assurdità di nuove elezioni sotto stato di emergenza. Il tutto mentre, sull’onda anche di quanto accaduto con il referendum costituzionale del 2017, cresce il timore di brogli. Le opposizioni e la società civile si mobilitano, ma Erdogan tiene in pugno l’intero apparato statale e gli organi di controllo.