Se vi è qualcosa che rivela chiaramente il carattere arbitrario e puramente simbolico del coprifuoco che ci affligge ormai dal mese di novembre questi sono i modi della sua rimozione. Spostare l’ora del confinamento notturno prima alle 23 e poi alle 24 è una misura del tutto insensata dal punto di vista epidemiologico e incomprensibile al senso comune. Si tratta, infatti, di concentrare in un minor tempo il flusso di persone che una volta si distribuiva sull’arco della notte.

Fenomeno di affollamento già ben visibile nelle ore che precedevano il limite delle 22. Fissare poi al 21 giugno, data che segna l’inizio astronomico dell’estate, (perché non il 15 o il 22 o il 26?) la definitiva rimozione di questa odiosa misura è il segno di una discrezionalità casuale ed esente da ogni obbligo di giustificazione. La graduale rimozione del coprifuoco, in larga parte frutto di contrapposti puntigli politici, ci rivela essenzialmente due cose. La prima è la scarsa efficacia del confinamento notturno e la seconda è la totale indifferenza nei confronti delle libertà individuali. Il solo tempo che conta è infatti quello commerciale del consumo. A favore del quale è stato deciso lo slittamento. Mentre la pura e semplice libertà di circolazione resta un esercizio improduttivo, incontrollato e dunque sacrificabile.

Facendo leva sulla pretesa che gli spazi privati, a pagamento, costituiscano un sistema di controllo dei comportamenti efficace anche nel prevenire i contagi (già dimenticato il focolaio discotecaro sardo della scorsa estate) si va di fatto completando un disegno di totale privatizzazione dello spazio urbano commercialmente sfruttabile. Nei centri storici i tavoli dei locali hanno ormai invaso interamente strade, piazze, aree verdi, parcheggi. E c’è da scommettere che i gestori non molleranno il terreno conquistato in cambio delle restrizioni subite e del futuro consenso politico. La monocultura turistico-ricreativa dei quartieri storici, tutto al contrario dai ripensamenti che la crisi avrebbe dovuto suggerire, è in procinto di ritornare in forme ancora più intensive e infestanti, tali da stravolgere definitivamente il loro tessuto urbano e sociale.

Fin da ora se ne vedono chiaramente le avvisaglie. Se si puntasse a un rapido recupero dei guadagni persi durante la pandemia tramite l’espansione senza freni di queste attività, le città rischierebbero di scoppiare. Al di fuori di questo circuito messo intensivamente a profitto, resta la terra di nessuno, lo spazio pubblico abbandonato, la notte proibita dei pericoli e degli imprevisti. Il confinamento notturno, mai seriamente argomentato dai pur loquaci epidemiologi, e i suoi opportunistici slittamenti sottendono un’idea di città e di controllo sociale dei suoi cittadini che già da tempo andava configurandosi e che la reazione alla pandemia sembra dover accelerare.

Quanto ai limiti ottusi e incomprensibili delle 23 e delle 24 da qui al 21 giugno sarà ben difficile farli rispettare per quanto si possano estenuare le forze dell’ordine in un prevedibile gioco a rimpiattino notturno.