Nel castello barocco di Meseberg il clima è quasi idilliaco. Il premier italiano e la cancelliera tedesca condividono l’obiettivo di fondo e la tempistica: c’è intesa «sulla struttura base del Recovery Fund», conferma Angela Merkel, e sulla necessità di raggiungere l’accordo il prima possibile.

I due usano la stessa argomentazione: la necessità di difendere il mercato unico, il rischio, sottolineato col pennarello rosso da Giuseppe Conte, che invece «si frantumi» travolgendo tutti, i più forti e i più deboli, i frugali e i presunti spendaccioni, l’Italia ma anche la potente Germania.

Sorrisi e violini e scambi di complimenti fioriti.

IL PREMIER ITALIANO «è proattivo», si complimenta la cancelliera, e gli italiani «hanno reagito alla pandemia con straordinaria disciplina». Conte restituisce la cortesia elogiando il sostegno ricevuto sempre dal Paese amico, senza dimenticare che una cinquantina di malati italiani sono stati ricoverati e curati in Germania. Angela completa l’opera rispondendo con la dovuta diplomazia a una domanda trabocchetto sull’eventualità che l’attendismo italiano sul Mes renda la trattativa più complicata: «Non vedo difficoltà per quanto riguarda la posizione negoziale».

Eppure i nodi sono tutt’altro che sciolti e sulla possibilità di chiudere, come da comune auspicio, nella riunione del Consiglio europeo di venerdì e sabato, non c’è alcun ottimismo.

«Siamo ancora lontani», ammette Frau Angela. Potrebbe volerci un altro vertice, «prima della fine dell’estate». Dall’Aja, dove il premier olandese Mark Rutte ha incontrato lo spagnolo Pedro Sanchez, arrivano ulteriori segnali poco confortanti. «Raggiungere un accordo non sarà facile», dice senza perifrasi Rutte al premier spagnolo. Dunque potrebbe anche essere lungo, tanto che l’olandese consiglia «amichevolmente» a Sanchez di «cercare una soluzione interna alla Spagna».

Vuol dire che i frugali arriveranno a Bruxelles, venerdì, decisi a combattere centimetro per centimetro.

TUTTO QUESTO, PERÒ, non ha certo stupito Conte. Era messo nel conto sin dall’inizio. Più insidioso il dissenso proprio con la Germania, che nonostante la comune ottima volontà e la reciproca buona disposizione c’è e riguarda punti per nulla secondari.

Il principale sono le condizioni che accompagneranno il Recovery. La proposta di mediazione avanzata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel è per l’Italia molto pesante.

[do action=”quote” autore=”Angela Merkel”]Non so se raggiungeremo un accordo sabato. Qui siamo in due, lì saremo 27 e serve l’unanimità… Può darsi che sia necessario incontrarci un’altra volta.[/do]

La destinazione e l’uso dei fondi da parte di ciascun Paese dovrebbero essere autorizzati e poi monitorati non dalla Commissione ma dal Consiglio, cioè dai capi di Stato, tribunale ben più rigido, e approvati a maggioranza non semplice ma qualificata. Non proprio un commissariamento ma qualcosa che ci arriva vicino.

NELL’ORA DI COLLOQUIO faccia a faccia con la cancelliera il capo del governo italiano ha messo la questione apertamente sul tavolo. Ma stavolta ha trovato le porte tedesche chiuse.

La Germania appoggia la mediazione Michel. La cancelliera per una volta mette da parte la diplomazia, particolare significativo, e lo dice anche in conferenza stampa: «Mi sembra una buona soluzione, che potrei sostenere».

[do action=”quote” autore=”Giuseppe Conte”]Stiamo lavorando a un piano di rilancio che abbia l’approvazione delle istituzioni europee. Ma la fase attuativa non è di competenza del Consiglio[/do]

A Conte pare invece pessima e se non lo dice a chiare lettere lo fa almeno capire. L’Italia, giura, intende muoversi nella direzione indicata dall’Europa. Ha già iniziato a farlo varando un fondamentale decreto sulle semplificazioni, assicura glissando su quelle parolette infide, «salvo intese».

Il monitoraggio non solo lo accetta ma anzi lo chiede e lo invoca. Con misura, però. «Senza arbitrarietà ma con discrezionalità». E senza che i controlli finiscano per impedire di raggiungere l’obiettivo, cioè la ripresa.

IN BALLO CI SONO né più né meno che i margini di autonomia che verranno lasciati all’Italia nell’uso del Recovery Fund e c’è anche la maggiore o minore rigorosità del «monitoraggio», cioè dei controlli.

Non è il solo punto in sospeso.

Sulla capienza del fondo Merkel glissa, rifugiandosi dietro un sibillino «deve essere poderoso». Conte fa anche di meglio: cita la proposta della Commissione europea e quella franco-tedesca come se fossero la stessa cosa e non ci passasse una differenza pari a 250 miliardi, cioè un terzo del totale.

Poi l’equilibrio tra sussidi e prestiti e il nodo del bilancio europeo 2021-2027, con tanto di «rebates», cioè di sconti per i Paesi «frugali e virtuosi».

Prima che con quelle europee, Conte dovrà vedersela con le spine italiane. In parlamento le mozioni a favore del Mes ci saranno. Di Forza Italia alla Camera, di Emma Bonino, che la illustrerà oggi, al Senato.

Il rischio che la maggioranza si divida è in realtà limitato. Non inesistente.