In He got game, uno dei migliori film di Spike Lee, Jesus Shuttlesworth è il più forte giocatore di basket liceale di New York. Le università di maggior spicco del Paese lo vogliono e si spingono ben oltre i limiti del lecito per averlo nella loro squadra. Così la vicenda assume toni boccacceschi, con belle e procaci fanciulle impegnate a sedurre il ragazzotto di belle speranze, mentre papà, un galeotto impersonato da Denzel Washington, stringe un patto inconfessabile addirittura con il direttore della prigione dove è recluso, anche lui disposto a tutto pur di «regalare» Jesus alla sua alma mater.

Solo finzione? Mica tanto, a giudicare da quanto accaduto di recente alla prestigiosa Louisville University. L’ateneo del Kentucky ha un’immensa tradizione cestistica, arricchita da tre titoli nazionali (l’ultimo nel 2013), eppure dalla scorsa estate è sballottato a destra e a manca dai marosi di una tempesta che non accenna a placarsi. Tutta «colpa» del libro Breaking Cardinal Rules: Basketball and the Escort Queen, pubblicato ad agosto a firma di tale Katina Powell. Nel volume si racconta che fra il 2010 e il 2014 l’ex assistente allenatore della squadra di Louisville Andre McGee aveva organizzato per giocatori, loro padri e potenziali «reclute», ovvero giovanotti appena usciti dalle scuole superiori come il buon Jesus di He got game, incontri galanti con escort e spogliarelliste. Tra queste ultime c’erano anche due figlie della stessa Powell, impegnata a «facilitare» il tutto.

Verso la fine del 2015 il canale sportivo statunitense ESPN ha mandato in onda un programma in cui diversi ex giocatori hanno confermato in buona parte il contenuto del libro della Powell. Sotto un tale fuoco incrociato all’università di Louisville non è rimasto che alzare bandiera bianca. I Cardinals si sono auto-sospesi, nonostante fossero ancora in corso le indagini, dall’esito ormai scontato, da parte dell’organizzazione che governa lo sport universitario a stelle e strisce, la NCAA.

Per questa ragione non solo la squadra non ha partecipato al torneo finale della conference (i 32 mini campionati in cui è divisa la pallacanestro a livello accademico), ma ha preferito ritirarsi anche all’importantissimo torneo a eliminazione diretta nazionale che vede ai nastri di partenza le migliori 68 compagini del paese. La competizione, attualmente in corso, è conosciuta come march madness, pazzia di marzo, per le sorprese e le emozioni che da sempre fornisce, ed è uno degli eventi sportivi più seguiti dagli americani. Nel corso della sua permanenza alla Casa bianca anche il Presidente Obama ha provato a pronosticare l’andamento della competizione, come fanno un po’ tutti in questo periodo dell’anno negli Usa. Per la verità ha imbroccato pochi pronostici, ma questo ci interessa il giusto.

Ci interessa di più ricordare che le università che si contendono il titolo NCAA possono contare su budget cospicui, palazzetti da 20mila posti e allenatori super-pagati – nel caso di Louisville Rick Pitino, paisà vera icona del college basketball da oltre tre decenni.

Non stupisce allora che siano continuamente a caccia dei migliori talenti per mantenere i contratti milionari con sponsor e soprattutto una bella fetta dei ricchissimi diritti televisivi che i network sono sempre più volentieri disposti a pagare. I metodi per mettere le mani sul fenomeno della high school di turno sono da sempre sotto la lente d’ingrandimento della NCAA. Quello di Louisville non è il primo e non sarà l’ultimo degli scandali sulle procedure di reclutamento. Non è difficile tentare ragazzi che spesso hanno alle spalle famiglie e contesti sociali difficili e che formalmente, non dimentichiamolo, all’università sono dei dilettanti che non possono percepire nemmeno un dollaro di salario. . E così le irregolarità si sono sprecate. Basta citare a mò di esempio per capire fino a che punto si sono spinti i «reclutatori».

Agli inizi degli anni Novanta alle stelle di Michigan University furono pagate decine di migliaia di dollari sotto banco, ma una volta scoperto l’imbroglio la punizione sia per l’università che per loro fu molto severa. Avviso ai naviganti, senza un rendimento accademico adeguato, non si può calcare il parquet. Allora per facilitare la vita ai giocatori-studenti meno bravi si creano corsi fittizi per garantire una frequenza e voti alti del tutto virtuali. Un giochetto che andava di moda anche a North Carolina. L’università dove sua maestà Michael Jordan iniziò a far intendere al mondo di che pasta fosse fatto non rischierebbe la revoca dei titoli del 2005 e del 2009, come paventato durante le prime battute di questo ennesimo scandalo. Chissà se prima o poi Spike Lee, vero e proprio «malato» di basket, dedicherà una nuova pellicola al gioco inventato dal professor James Naismith. Il materiale non gli manca di certo.