Abitare una città con amore significa percorrerne ogni singola strada e portare, dentro di sé, la felicità della gratitudine. Non importa che sia accogliente o meno, che sia fondata su una parabola colma di difficili vicende. Splendore e miseria fanno capolino sulla grandezza di una storia che segue l’incespicare, lento e attento, di uno sguardo. Quando è chiaro, quello sguardo, non si può fare altro che affidarsi e cominciare il tragitto.

CIÒ CHE SCORRE fra le mani di Lidia Campagnano non è solo un fluire di immagini e parole che riecheggiano piazze, vie e luoghi romani a lei cari. Cartoline da Roma (Edizioni Unicopli, pp. 111, euro 12) è una lunga, intensa lettera rivolta a Faloke, un’amica che vive nella stessa città ma con un destino diverso da quello dell’autrice del libro e al contempo destinataria baciata dalla fortuna per essere stata prescelta. Preferita, fra tutte, è Faloke; preferita è Roma, la grande e capitale città a cui questo canto in forma epistolare, nitido e con punte di poesia, è dedicato. Su di essa Lidia Campagnano tesse contraddizioni e tratti di contemplazione dotata di pura bellezza, intorno cinge con la disinvoltura dell’esperienza i tumulti di una storia, politica e sentimentale.
Il «lavoro della memoria affettiva» che la riporta a percorrere la scelta comunista, «questo riconoscersi in una necessità indicibile». Il breve inciso tra urbanità e montagna, là dove quest’ultima ha rappresentato la resistenza a tiranni e invasori; il palazzo del Grillo e poi ancora via Tasso, le Fosse Ardeatine, il Quadraro.

SONO PRESENTI le molte piazze che si sono fatte proprie, intime e solenni in un apprendistato al desiderio di impossibile che non può essere dismesso facilmente. C’è infine un luogo lontano, per raggiungerlo bisogna andare verso il mare. E lì che davanti a un teatro in rovina, l’io narrante colloca un amore perduto. Eterno come lo è il disporre la gentilezza di una mano che esita. Di un corpo che non è più su questa terra. È, in fondo, il discordante passo sghembo che segue l’intera ossatura del testo, tra passato storico e presente personale.

La narrazione tuttavia non sarebbe la stessa se a essere descritta fosse una città casuale a un’ospite lettrice altrettanto casuale. Faloke invece – una donna che esprime ancora la gioia per la democrazia e a cui Lidia Campagnano augura di visitare il Parlamento – è il simbolo di una soglia costante tra spaesamento e familiarità. Testimone e attenta interlocutrice con cui si dialoga di neocolonialismo, dittatura, corruzione, cittadinanza e molto altro. «Non siamo niente. Saremo tutto … Non siamo niente. Raccontiamoci, io e te, questo niente per favore. È possibile? Tra donne è stato possibile scambiarsi il racconto del niente che a volte ci pareva di essere». È l’arco di un augurio, Faloke. Di trovare nuove parole per sorprendersi della condivisione di cui ancora si è capaci, abitando un’amicizia. Che è vicina al sentimento e che molto restituisce della pratica politica.