Il formicaio impazzito dei gruppi parlamentati del Movimento 5 Stelle conosce un’altra giornata di ordinaria confusione. Mentre Luigi Di Maio è preso dalle impellenze dettate dallo scenario internazionale, all’ordine del giorno dell’agenda grillina figura la questione della restituzione di parte dello stipendio, cioè uno degli ultimi simboli del grillismo delle origini.

I CAPIGRUPPO di camera e senato, Davide Crippa e Gianluca Perilli, virano lo sguardo sul lato positivo: i controlli dei probiviri certificherebbero che «l’85% dei parlamentari è in regola con le rendicontazioni e con le restituzioni». Per tutti gli altri, «nelle prossime ore verranno aperti, come da statuto, i relativi procedimenti che saranno commisurati alla gravità della violazione», aggiungono. Dunque, si attendono le misure che colpirebbero almeno una quarantina di parlamentari. Circolano nomi di sospettati, si estraggono tabelle dal sito Tirendiconto.it, si susseguono dichiarazioni di deputati e senatori che giurano di essersi messi in regola proprio in questi giorni.

Per capire quanto tutto ciò precipiterà sulla tenuta dei gruppi e come influenzerà le trasformazioni prossime del M5S si attende l’assemblea di deputati e senatori prevista per domani sera. Intanto si registra l’ennesimo abbandono: lascia il gruppo dei 5 Stelle alla camera il deputato catanese Santi Cappellani, che nei giorni scorsi aveva assicurato di non aver potuto comunicare l’ammontare dei suoi versamenti per un disguido tecnico: «Avevo perso la password del portale», si era difeso Cappellani. Adesso giura fedeltà alla maggioranza ma abbandona il Movimento 5 Stelle che a ventisette anni lo ha portato in parlamento: «Sono un grande sostenitore di questo governo Conte – assicura comunque Cappellani – Mi auguro possa non solo continuare ma rafforzare la sua spinta riformatrice. Ma devo confessare un certo malessere».

FINO ALLA SCORSA legislatura i soldi versati dai parlamentari finivano in un calderone più grande che finanziava il credito per le piccole imprese, era un fondo istituito anni prima dal governo Prodi. Da un anno e mezzo a questa parte tutto sfocia in un conto corrente intestato ai due capigruppo di turno.

L’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti contesta la trasparenza della procedura con la quale vengono gestiti circa 13 milioni di euro di questa prima parte di legislatura. «Ancora oggi non ci sono dei revisori dei conti che possono attestare che su un certo conto corrente ci sono milioni di euro, che vengono gestiti in un certo modo, con un estratto conto e un rendiconto ’bollinato’ come farebbe l’ultima delle associazioni culturali di quartiere, questo è evidentemente un problema», si sfoga Fioramonti.

PER LA DEPUTATA Dalila Nesci, invece, la questione scottante delle restituzioni viene strumentalizzata per deviare l’ordine del discorso, utilizzata «come una clava» per fare fuori i parlamentari scomodi. Nesci, trentatreenne calabrese di Tropea, è già alla seconda legislatura. Fino a qualche mese fa era allineata coi vertici, poi si è proposta come candidata presidente nella sua regione ed è entrata in rotta di collisione con Luigi Di Maio. «Dovevamo fare una rivoluzione culturale, invece le nostre risorse in questi anni sono state impiegate per abbassare la qualità del discorso politico», dice adesso Nesci che contesta ai responsabili della comunicazione di gettare in pasto agli stessi media che tanto vengono contestati i nomi dei dissidenti al fine di dirimere le questioni interne. E sfida i probiviri: «Non rendiconterò più sulla piattaforma, ho già provveduto a fare le prime donazioni di parte del mio stipendio ad associazioni sul territorio impegnate in attività culturali, diritti dei minori e assistenza ai malati».