Sabato scorso c’è stata una partecipatissima manifestazione a Roma al Campidoglio, persone deluse da un’amministrazione che aveva promesso un cambiamento radicale per Roma e che invece ha lasciato la città a un destino distopico: autobus in fiamme, gabbiani in lotta con i topi. Il giorno stesso un mio amico di fuori Roma mi diceva che arrivando in città dalla Salaria, l’ha sentito quell’odore terribile di cui ogni tanto gli parlo: mi è sembrato di svenire.

C’è un guasto evidente nel governo di Roma – allagamenti, savane, voragini, una città tropicale in rovina – ma c’è un disastro meno conosciuto e più grave: ed è quello che riguarda il ciclo dei rifiuti a Roma dopo Malagrotta, che non ha portato soltanto ai cassonetti strabordanti ma a interi quartieri devastati da discariche di fatto.

Partiamo dalla più grave. Quella stessa sensazione di nausea del mio amico non romano sabato scorso, l’hanno provata alcuni abitanti di Villa Spada otto anni fa quando l’impianto «tmb» (trattamento meccanico biologico) di Via Salaria 981 veniva collaudato. Salvatore, un abitante della zona, mi ricordava: «Un giorno mi sono svegliato e ho sentito quest’onda tossica che mi entrava in casa, ho pensato che fosse successo un disastro ambientale».

IN OTTO ANNI QUEL DISASTRO ambientale è diventato la norma con cui sono costretti a convivere quasi centomila persone, in un’area vasta come una città, tra Villa Ada e il Raccordo. Nell’impianto che produce i miasmi stazionano normalmente cinquemila tonnellate di rifiuti, ogni giorno ne arrivano circa mille, raramente si riesce a svuotare la vasca che li contiene.

Cinquemila tonnellate di rifiuti insieme sono, per dare un’idea, un campo di calcio con uno strato di cinque metri. A distanza di cento metri in linea d’aria da questa montagna di monnezza ci vivono molte persone: anche donne anziane allettate, famiglie con bambini piccoli, coppie che si sono sposate da poco, ragazzi che vanno al liceo. A centocinquanta metri in linea d’aria c’è un asilo nido, bellissimo, ben gestito, con educatrici brave, obbligate a tenere i bambini ermeticamente protetti dentro la struttura: giocare all’esterno sarebbe impossibile. È una storia che probabilmente non avete sentito, perché Villa Spada o Castel Giubileo, Serpentara o Fidene, sono tutte ex borgate; se una situazione del genere accadesse in un’altra zona più centrale della città, ci sarebbe già la protezione civile, ma siccome si tratta di periferia, nessuno si preoccupa che questa parte di città venga usata come discarica.

LE PERSONE CHE CI ABITANO, si dice, sono esasperate. Ma l’esasperazione è una parola che non rende: respirare un odore tossico da star male, che crea nausea, bruciore agli occhi, mal di testa, e non poterlo evitare, è una condizione che fa impazzire; i farmacisti della zona registrano l’aumento di acquisto di psicofarmaci e sonniferi. Aggiungete la preoccupazione per la salute: i farmacisti, i pediatri, i medici della zona segnalano un aumento decisivo delle patologie respiratorie; il parroco di Fidene fa il conto che i funerali nella sua chiesa sono raddoppiati negli ultimi otto anni.

SI PUÒ SOLO SCAPPARE, ma chi prova a vendere casa, si sente ridere in faccia. Gli appartamenti negli ultimi anni hanno perso più della metà del valore. Gli uffici dove era Sky fino a un anno fa (adesso è a Milano) sono sfitti da allora.

I bar chiudono, le pizzerie dove la gente andava a mangiare all’aperto sono vuote, un intero quadrante della città si sta desertificando. Questa è Roma. Da quando non c’è più Malagrotta, e da quando non si può gettare il rifiuto tal quale direttamente in discarica, un terzo di quella monnezza arriva qui, a distruggere una comunità enorme di persone, a farla ammalare, a bloccarla dentro casa, a fare scappare chi può.

I problemi di una città sporca sono l’epifenomeno di un disastro ambientale che ne è la ragione profonda. A Roma occorre una grande mobilitazione sui rifiuti ma che parta da questa emergenza per rivendicare la tutela i diritti essenziali: a respirare, alla salute.

Una manifestazione non nimby, ma ambientalista e consapevole. Solo in questo modo si può cominciare a sanare una violenza sociale che è stata protratta e profonda e rispetto alla quale serviranno anni per risarcire gli abitanti.