La prima visita dei Talebani in Europa sarà a Oslo, in Norvegia. Dove da domenica al 25 gennaio una delegazione dell’Emirato incontrerà le autorità norvegesi e alcuni rappresentanti della comunità internazionale, «così come altri afghani di ambiti diversi della società civile».

L’ANNUNCIO È ARRIVATO dal ministero degli Esteri norvegese, guidato dalla ministra Anniken Huitfeldt, che pochi giorni fa aveva salutato con favore la visita di una delegazione norvegese a Kabul per verificare la gravità della crisi umanitaria in corso. La delegazione dei Talebani sarà guidata dal ministro degli Esteri di fatto, Amir Khan Muttaqi, tra i più attivi nel chiedere il riconoscimento del governo. Finora senza successo. Anche i Paesi regionali, dai quali i Talebani si aspettavano un sostegno maggiore e più esplicito, non hanno riconosciuto il governo degli studenti coranici. Che però, come raccontato in un recente articolo del Washington Post, stanno investendo molte risorse nel sostituire con propri funzionari quelli delle ambasciate afghane dei Paesi della regione. A partire dalla Cina.

L’incontro di Oslo nasce da preoccupazioni umanitarie, sottolineano a Oslo. «Milioni di persone stanno facendo i conti con un pieno disastro umanitario. Per aiutare i civili, è essenziale che sia la comunità internazionale sia gli afghani di vari settori della società afghana entrino in dialogo con i Talebani».

IL COMUNICATO che presenta l’incontro ricorda le condizioni drammatiche in cui si trova la popolazione, dopo che i Talebani hanno preso il potere e la comunità internazionale ha congelato i fondi della Banca centrale, interrotto la maggior parte dei trasferimenti in aiuti allo sviluppo, isolato il sistema bancario.
«Siccità, pandemia, collasso economico, effetti di anni di conflitto. Circa 24 milioni di persone soffrono profonda insicurezza alimentare. Un milione di bambini può morire di fame. Secondo le stime dell’Onu, più di metà della popolazione affronterà la carestia questo inverno, e il 97 per cento della popolazione potrebbe finire sotto la soglia di povertà”. Una crisi talmente profonda che l’aiuto umanitario non è abbastanza: “sebbene sia essenziale, non è sufficiente. Dobbiamo prevenire un collasso dei servizi di base come nella sanità e nell’istruzione».

UNA PRECISAZIONE che ormai da settimane fanno, con sempre più insistenza ma senza smuovere la politica, i rappresentanti dell’Onu. Accogliere i Talebani a Oslo non significa rinunciare a principi chiari, sostiene la ministra Anniken Huitfeldt, “in particolare sull’educazione delle ragazze e sui diritti umani e sul diritto delle donne di partecipare nella società”. La ministra norvegese è chiara anche sull’aspetto politico: «questi incontri non rappresentano né una legittimazione né un riconoscimento dei Talebani. Ma dobbiamo parlare con le autorità di fatto del Paese» per scongiurare «un disastro maggiore». E per chiedere ai Talebani maggiore flessibilità. Per Fabrizio Foschini, ricercatore dell’Afghanistan Analysts Network, tra i più accreditati centri di ricerca sul Paese, l’incontro di Oslo «potrebbe servire anche come punto di incontro informale per altri attori politici coinvolti» nella crisi afghana.

OBIETTIVO, «muovere qualche passo in direzione di una maggiore inclusività dell’esecutivo talebano». L’incontro di Oslo andrebbe dunque letto in continuità con quello che si è tenuto il 10 gennaio a Teheran quando – ospiti del governo iraniano – i Talebani hanno incontrato alcuni esponenti del cosiddetto «Fronte di resistenza nazionale», tra cui il figlio del comandante Masoud e Ismail Khan, ora residente a Mashad. Incontri infruttuosi, per ora.

Da Bruxelles arriva invece la notizia che l’Unione europea, dopo aver chiuso tutte le rappresentanze con l’arrivo dei Talebani, stabilirà una presenza minima in Afghanistan, secondo quanto dichiarato dal portavoce per gli Affari esteri della Commissione europea, Peter Stano. Mentre l’inviato speciale del governo statunitense, Thomas West, ha sostenuto che, se i Talebani da marzo lasceranno davvero tornare a scuola tutte le studentesse, come promesso pochi giorni fa, gli Usa sono disposti a pagare lo stipendio degli insegnanti.