Se il pianeta si sta lentamente accartocciando, soffocato da detriti, plastiche e scorie tossiche e il Covid lancia messaggi minacciosi, gli artisti non sembrano essere colti di sorpresa da questo singhiozzo funereo: la deriva della distruzione l’avevano profeticamente «avvistata» già da anni. Ce lo dice, da ultima, la Biennale di architettura, tutta incentrata sull’ambiente sostenibile che ha trasformato gli operatori dell’urbanistica in visionari. E ce lo dicono anche le tante ricerche di pittori, scultori, fotografi e filmmaker che, a volte con disperata nostalgia, tornano a raccontare la Terra e gli oceani con i loro  inquilini di diverse specie.

Fino al 15 novembre, a Roma, si potrà visitare al Forum Austriaco di Cultura diretto da Georg Schnetzer (viale Bruno Buozzi 133), la mostra Touch Nature, una collettiva di artisti austriaci e italiani ideata e curata da Sabine Fellner, con Adriana Rispoli. Nelle differenti declinazioni del linguaggio contemporaneo, si affrontano i nodi dell’ambiente. «Con l’inizio dell’industrializzazione, l’idea di un effettivo addomesticamento, controllabilità e sottomissione della natura si è fatta sempre più consistente. Il costante e incontrollato sfruttamento e la mercificazione delle risorse, l’intervento esteso dell’uomo nei processi biologici, geologici e atmosferici della terra significano non solo la perdita progressiva della natura incontaminata come risorsa emozionale, ma anche la distruzione degli habitat, l’ingente estinzione delle specie nonché le crisi umanitarie, politiche ed economiche», scrive Sabine Fellner per presentare il fil rouge che lega le opere esposte, «formulando azioni di resistenza contro lo sfruttamento globale delle persone e lo spreco delle risorse ed elaborando strategie che incoraggino un radicale cambiamento di prospettiva». La mostra intercetta quindi l’urgenza «ecologista» che l’arte manifesta da tempo e che la pandemia ha fatto balzare in primo piano. Perché se la tematica ambientale ha sempre permeato l’orizzonte dell’arte contemporanea, «la tempestività del momento, il periodo di apparente transizione tra un’era pre e post Covid fa di Touch Nature, e naturalmente degli artisti coinvolti, un caposaldo da cui ripartire», spiega Adriana Rispoli.

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Nel suo video Val Canale (2005), Hans Schabus, propone una veduta aerea friulana denunciando così, con quel «paesaggio rubato» dall’alto l’irreversibile intervento umano negli spazi naturali. Rotbuche (2019) di Peter Hauenschild segue con la pratica del disegno l’agonia di un albero, mentre in Figures of France (2019), Claudia Märzendorfer erige un monumento all’inquinamento degli oceani prodotto dagli accumuli di plastica. L’attivista e regista Oliver Ressler porta in mostra il suo documentario Leave It in the Ground (2013) che denuncia il progetto della Norvegia di utilizzare trivellazioni in mare profondo per estrarre petrolio nella zona delle isole Lofoten. Fra gli artisti del Belpaese, c’è Leone Contini (da anni lavora in sinergia con le comunità straniere dei luoghi in cui opera, dalla sua Toscana fino all’Africa): la lecture/performance Paesaggi Italiani inattesi viaggia nel Lazio in compagnia della comunità bengalese, facendo entrare in stretto contatto tradizioni agricole, culinarie delle due diverse culture di provenienza. L’opera di Elena Mazzi, Becoming with and unbecoming with è invece una installazione scultorea, una sorta di gioiello organico che riproduce le vertebre di una balena sospese come in un liquido amniotico, in vetro di Murano. A chiudere il cerchio, guardando a un mondo che «cuce» insieme armonia e operosità come quello degli insetti è Luana Perilli nella sua serie Solitary Shelter, che dissemina rifugi in ceramica per quegli abitanti imprevisti di spazi microscopici.