Totò è un attore/mondo: è contemporaneamente “guarratetella” snodabile; è Pulcinella senza maschera il cui volto è tutto e niente ( come suggeriscono una serie di disegni di Milo Manara in cui bastano le posture, il “fracchesciasso”, la bombetta, i calzoni “a zompafuosso” a evocare Totò omettendone il volto); è clown , spettro, marziano dal volto verde e la parrucca rossa ( come lo vedeva Pasolini “dalla Luna”) , automa futurista, geroglifico egizio, ectoplasma, santo e demonio, e forse soprattutto “animale” ( lui si definiva simile a una “ameba”). Lo si vede bene in scena, sullo schermo, e anche nella vita privata: il suo amore appassionato per i cani ( ne sfamava a centinaia), la sua francescana ricerca di un dialogo con gli uccelli come frate Ciccillo zampettante sull’erba nel pasoliniano Uccellacci e uccellini (1966). E in un film di Carlo Ludovico Bragaglia del 1939 Animali pazzi, su soggetto di Achille Campanile, un geniale Totò passeggia sui tetti in groppa al suo cavallo matto. Dieci anni dopo se ne va in giro con un serpente attorcigliato al cappello per le stradine di Capri in Totò imperatore di Capri di Comencini. Nello stesso 1949 in Totò cerca casa di Steno e Monicelli, dovendo giustificare la provenienza di un uovo rubato esclama “Quest’uovo l’ho fatto io!” e per dimostrarlo si prodiga nello scodellamento dell’ovetto, rifacendo uno dei numeri che lo rese celebre nell’avanspettacolo, quello della gallina che allunga il collo, saltella, allunga il collo e infine depone l’uovo. Ho pensato al valore sacrale, rituale e carnevalesco dei gallinacei e alla assimilazione a Totò “animale di palcoscenico”, incarnazione numinosa, oggetto di culto misteriosofico, vedendo il bellissimo film Pagani di Elisa Flaminia Inno, prodotto da Parallelo 41 e presentato a “Cinema du rèel” di Parigi. Vi si vedono i preparativi della festa della Madonna delle Galline, nell’entroterra vesuviano, contornata da “femminielli” che indossano fantasmagoriche e variopinte “mise”, acconciature sgargianti, mentre preparano l’altare-sepolcro in cui, come Adone negli antichi “Tristia e Hilaria”, attende di risorgere il corpo di Cristo, oppure mentre assistono al parto androgino che si sgrava di un fallo, o cantano e danzano (con movenze e suoni da gallinaceo) la canzone di Zeza, con un Pulcinella a sua volta assimilato a un gallo col suo naso a becco ( e tutti sono la sopravvivenza degli antichi Galli, ermafroditi devoti estatici alla Dea Madre Cibele, di cui parla Apuleio nell’ Asino d’oro ). E’ una intera comunità, quella napoletana, che si riconosce e fa rivivere il fondo misterico e sacrale dell’attore ( su una tale “antropologia” attorica si aprirà, con la relazione di Stefano De Matteis, il convegno internazionale Pensare l’attore all’Università della Calabria dal 29 al 31 maggio, a cura di Roberto De Gaetano, Daniele Vianello e di chi scrive). Totò, nel cinquantenario della morte, si rivela “vivente” quanto mai e in questi giorni tutta Napoli è disseminata da mostre (sotto il titolo di Totò Genio) , performances, concerti, spettacoli, installazioni (organizzati dalla Fondazione Campania dei Festival e dalla regione Campania/Direzione Generale per le Politiche Culturali). L’impressione è una proliferazione della sua vitalità, una moltiplicazione all’infinito della sua presenza, come se Totò fossimo tutti noi, tutta l’umanità ( Totò, l’arte e l’umanità è il giusto titolo generale) e anzitutto ciascun napoletano. Lo si percepisce in modo straordinario assistendo in questo quadro a un trittico di iniziative curate da Teatri Uniti ( con i Virtuosi di San Martino e la Nuova Scarlatti) . Il primo atto, Totò si ri-gira , è la ricostruzione dal vivo in tre città ( Roma, Milano e Napoli) di famosissime ed esilaranti scene di film totoeschi : Totò a colori, Totò Peppino e la Malafemmina, L’oro di Napoli. In quest’ultimo, ambientato alla Sanità, una miriade di “pazzarielli” sono tutti Totò, l’intero Rione è Totò. Negli altri due atti, Totò che tragedia! e Sinfonia di Totò, l’arte musicale e trasformistica dei Virtuosi di San Martino ( e di un metamorfico, eccezionale Roberto Del Gaudio), nel primo caso, e l’ammaliante, avvolgente orchestrazione sinfonica delle musiche dai film di Totò a opera di Federico Odling (con l’apparizione “fatata” in finale di Angela Luce) operano un incantesimo prodigioso: far rivivere Totò senza sue immagini o banali imitazioni, ma evocandone, con un atto magico, la sua essenza, la sua anima. Totò si ri-genera!