Un venerdì di passione, un sabato sepolcrale e nella resurrezione non spera più nessuno. Forza Italia si sta disintegrando a ritmo accelerato e senza risparmiarsi nulla. Accuse, insulti, lacerazioni politiche che travolgono rapporti personali che sembravano di ferro. Il crepuscolo degli dei di Arcore è selvaggio e sgangherato: nulla a che vedere con il mesto ma in fondo dignitoso trapasso della vecchia Dc.

Venerdì l’attacco di Berlusconi a Raffaele Fitto, inevitabile dopo la defezione del candidato azzurro in Puglia Francesco Schittulli, passato armi e bagagli a Fitto e ora candidato di una lista sostenuta anche dall’Ncd ma alla quale probabilmente mancherà proprio l’appoggio azzurro. Il commissario Vitali, quello spedito in Puglia da re Silvio con risultati catastrofici, si dice pronto a candidarsi lui: dato il livello insuperabile della sua impopolarità in loco sarebbe una scelta da camicia di forza.

Ieri la replica del viceré pugliese, ancora più dura. Un blog lungo, dettagliato, soprattutto spietato. «Siamo un partito senza regole, dalla testa in giù. Un partito con dirigenti privi di qualsiasi legittimazione democratica. Un cupo bunker, costruito intorno a Berlusconi, dove pochi autonominati pretendono di decidere sulla sorte delle persone e – peggio ancora – sulla linea politica. Siamo un partito con nove milioni di elettori in fuga. E adesso qualcuno vorrebbe più bavaglio per tutti?». Parole che bruciano ogni ponte alle spalle.
Le repliche sono a tono. Da Giovanni Toti: «Basta sputare nel piatto dove si mangia», al rampante Furlan leader del ridicolissimo Esercito di Silvio: «Il parrocco di Maglie, Fitto, dà vita all’ennesima lagna». Un signore, questo ragazzo scovato da Silvio il talent scout. Non è che Toti, altra folgorante scoperta di un Berlusconi al tramonto, sia più versato in cortesia e buone maniere: «Bondi se ne va? La vernice vecchia va tolta». Con inevitabile risposta a tono dell’arrugginito: «Toti? Non so chi sia…». In realtà la rissa con Bondi il transfuga è un segnale ancor più definitivo della rottura finale con Fitto. Il poeta ex adoratore di Silvio non ha alle spalle truppe, ma lo scambio di insulti tra lui e l’ex idolatrato segna un vulnus persino più profondo. Chi mai avrebbe immaginato che un giorno Sandro Bondi potesse accusare Silvio Berlusconi di «miseria morale»? Una pietra tombale.

Non è più il caso di chiedersi se Fi esploderà definitivamente ma solo quando avverrà e quanti saranno i frammenti dopo la deflagrazione. Prima o poi Berlusconi dovrà decidersi a cacciare apertamente l’ammutinato Fitto, e sa già che a seguirlo sarà una pattuglia parlamentare nutrita. Fitto e Bondi si sono incontrati nei giorni scorsi, ne hanno discusso, concordano sull’opportunità di dar vita a nuovi gruppi in parlamento, ma il primo ha in mente un’opposizione durissima a Renzi, il secondo il fiancheggiamento. Mettersi d’accordo non sarà facile. Tutto senza contare quei parlamentari che sulla carta resteranno fedeli ad Arcore ma rispondono in realtà a Verdini e sono a tutti gli effetti una cellula dormiente pronta a risvegliarsi quando Denis e Matteo ne avranno bisogno.

Chi di questo sfacelo dovrebbe rallegrarsi, e purtroppo per lui proprio non può farlo, è Angelino Alfano. Si può immaginare la rabbia e la frustrazione dell’ex delfino: dall’attesa dissoluzione della casa madre non ricaverà nulla semplicemente perché nemmeno lui ha più un partito, fosse pur piccolo, in grado di banchettare con i resti della balena azzurra. Anche da quelle parti insulti e accuse sono all’ordine del giorno, e la divisione non è meno profonda. La De Girolamo col cuore già in Fi (insomma, in quel che ne resterà), la Lorenzin con una tessera virtuale del Pd in tasca e il miraggio di conquistare il Campidoglio con l’appoggio di Renzi alle prossime elezioni romane, in mezzo gli Alfano, i Cicchitto, i Quaglieriello, personaggi in cerca d’autore, anzi di dimora. Più che per conquistare lottano per non morire, e la loro sorte ce l’ha in mano Renzi. Un’ulteriore umiliazione nella partita sul ministero degli Affari regionali sarebbe esiziale. Per questo Alfano tenta il ruggito: «Renzi deve sapere che il ministro lo scegliamo noi». Figurarsi.