A metà circa della dorsale sarda, la superstrada 131 Carlo Felice, il re cupo dal nome sbagliato, troverete la deviazione per San Vero Milis, un piccolo paese gentile: svoltate senza paura e cercate del Museo. È là, in un museo inaspettatamente bello ed accogliente, ospitato in un complesso di antichi edifici in pietra, che vedrete una mostra singolare, anomala, profonda e lieve, colorata e di puro segno, funambolica, e ne uscirete contenti e sorpresi (a cura di Ivo Fenu, visitabile fino al 2 luglio).

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È Issu e Issa, Lui e Lei, antologica dell’attività trentennale di Antonello Cuccu (1958), artista e architetto molto schivo, intellettuale della forma, maestro d’ironia del quotidiano e ispiratore della produzione artigianale sarda migliore, per qualità e capacità di rigenerare la tradizione.

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Ma qui Cuccu presenta un racconto di sé e del mondo, alla luce della forza che il mondo muove, l’amore. Tra uomo e donna, tra forma e forma, tra luce e ombra, tra giorno e notte: un mondo ancestrale e immanente, mosso senza sosta – e perpetuamente rinnovato – dalla forza dell’attrazione, dai sensi.
Sotto il cielo sono molte le materie con cui le mani possono operare e pensare: il legno, il ferro, il rame, la terra. E il colore: nei dipinti come nelle ceramiche, è assoluto, di smalto. Rosso, viola, turchese, verde: hanno bagliori di metallo le sculture ceramiche della serie Les Demoiselles de Mamojada.

Volumi nitidi, ovoidali, nascondono donne racchiuse in mantelli che le sottraggono alla vista e le consegnano a pensieri segreti. Ma un oblò ne rivela gli sguardi fieri mentre sul capo, in miracoloso equilibrio, portano ceste e conche d’acqua. Appoggiate su sgargianti sgabelli da seduta, le Demoiselles diventano totem domestici, divinità imperturbabili, scopertamente memori di Memphis e di Ettore Sottsass. Continuamente dentro e fuori da quella persistenza di motivi arcaici che Corrado Maltese nel 1962 vide come caratteristica della cultura figurativa isolana, definita «una civiltà anticlassica», Cuccu traghetta le istanze delle avanguardie del Novecento in oggetti d’arte e manufatti dalla eventuale serialità.

 

È la lezione del Bauhaus, di Giò Ponti, e giù fino a Munari, di un’arte sapientemente funzionale. Ma qui la funzione è un sorriso, un breve incanto, un’ombra sul muro, perché no? Dateci il pane e anche le rose… Disegni da parete in fil di ferro zincato – Le Makines, parola che in sardo richiama anche l’idea di follia – parlano di sogni che si alzano col fumo dei comignoli, passano tra i setacci del grano: sono costellazioni da cucina, nel tepore buono.

La lamina di rame intagliata crea un teatro di ombre cinesi, le silhouettes si stagliano e rivelano storie speciali: è stramazzato come il cavallo di Guernica, ma bardato a festa, anche quello del Componidori, il cavaliere della Sartiglia di Oristano, la giostra equestre del Carnevale. Riti, feste, mitologia, l’universo di Cuccu è a un tempo personale e collettivo, di popolo.

È un lessico famigliare di tutti e di ognuno: si esprime con parole semplici, senza mai per questo essere dimesso. La casa, dunque, sa domu, cui per sempre apparterremo anche se lontani. La famiglia sarda è fatta di uomini e animali, e tra questi in primis l’asino, cavalcatura di re in antico e poi bestia da soma che anima cento proverbi. In Sardegna l’asino viveva in piena simbiosi con le famiglie nei cortili.

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L’asino e io, 2001

L’asino è caro, per la sua schiena curva, alla Luna, ad Iside, e agli innamorati nel loro cammino. Molti asinelli popolano le raffigurazioni di Antonello Cuccu, quegli stessi che ritroviamo protagonisti della ceramica vietrese. Anzi, della moderna produzione ceramica di Vietri, l’asinello è la sigla. Ebbene, i ciuciarielli giunsero a Vietri dalla Sardegna arcaica del 1932, quando la polacca Irene Kowaliska, grande artefice della arti applicate che scelse l’Italia, li riportò nel cuore e nella mente da un viaggio in Sardegna. Diceva, Irene, che gli asinelli portavano sul basto una casa intera, le case sarde «grigie di pietra, ma dentro c’erano tutte ricchezze semplicissime, solo cose che hanno senso nell’esistenza». Cuccu, che la conobbe, omaggia così e ci ricorda Irene Kowaliska, in un allestimento affilato come un rasoio.

Completa la mostra una galleria di dipinti dedicata alla storia d’amore – fuori dalle regole, dentro la libertà – di Gertrude Stein e Alice Toklas, Issa e Issa, perché l’amore non ammette questioni di genere.
A corredo della mostra, il raffinato catalogo pubblicato da Ilisso, con un bel testo di Carlo Alberto Bucci.