Ancor più degli otto punti finali di vantaggio di Eugenio Giani (48,6%) su Susanna Ceccardi (40,5%), è la maggioranza assoluta in Consiglio regionale con 22 seggi su 40, con il 35% dei consensi, a rendere il Pd toscano autosufficiente. Così Matteo Renzi si fa subito sentire, nonostante che i suoi due consiglieri (Stefania Saccardi e Stefano Scaramelli) pesino assai meno di quanto desiderato: «Chi conosce la politica sa che in Toscana siamo stati determinanti, credo sia chiaro a tutti. A cominciare dal presidente Giani». Messaggio in linea con la statura politica dell’ex di tante, troppe cose.

VIEN DA DIRE che chi è causa del suo mal pianga se stesso. Perché l’autosufficienza del Pd è anche figlia delle distorsioni rappresentative di una legge elettorale renziana doc – il «toscanellum» prova generale del «porcellum» – che ad esempio nega per un pugno di voti alla Sinistra civica ecologista (2,96%), alleata di Giani, l’entrata in Consiglio. Ancor più distante dal traguardo la Toscana a Sinistra di Tommaso Fattori, che ha preso anch’essa il 2,9% ma con uno sbarramento per lei più alto al 5%.

Riflessioni di metodo che comunque non toccano Simona Bonafè, oggi segretaria dem sulla cresta dell’onda. Dopo essere stata, alla prima Leopolda della rottamazione, una delle tre vestali, con Maria Elena Boschi e Sara Biagiotti, del Renzi osannato iconoclasta di tutto ciò che tendeva al rosso. Dieci anni dopo, avvedutamente rimasta nel gran partito toscano insieme a un buon 90% di antichi pasdaran renziani, Bonafè può a buon diritto concedersi un sorriso: «C’è uno straordinario risultato del Pd della Toscana, che col 35% si conferma essere il più forte d’Italia, per la seconda volta consecutiva dopo le Europee». Non per caso a festeggiare Giani (oggi alle 18 al Tuscany Hall di Firenze) arriverà anche Nicola Zingaretti.

Più che alla festa, il pensiero di Bonafè è però rivolto alle comunali. Un pugno di municipi, ma in un paio di casi, Arezzo in mano al centrodestra e la Cascina di Susanna Ceccardi, di robusto valore simbolico. «Si sta profilando un ballottaggio ad Arezzo e Cascina – puntualizza così Bonafè – mentre abbiamo una vittoria sicura, quella di Viareggio, oltre a Follonica tornata al voto dopo un ricorso. Anche questi sono risultati straordinari».

I NUMERI DELLE MUNICIPALI sono in effetti più che discreti. Ad Arezzo, dove l’uscente, esperto forzista Alessandro Ghinelli aveva saggiamente declinato il ruolo dell’anti-Giani, il suo 47% non gli evita il secondo round con il dem Luciano Ralli (35,2%), con il Pd che da solo (24,8%) fa quasi quanto Lega (13,9%) e Fdi (12,2). E a Cascina l’altro dem Michelangelo Betti è in testa con il 38,6% (Pd al 32,9%), a fronte di una destra divisa fra l’ufficiale Leonardo Costantini con il 33,1% (Lega al 19,5%), e il sostituto di Ceccardi, Dario Rollo, al 9% dopo aver sbattuto la porta per non essere stato ricandidato. Invece a Viareggio Giorgio Del Ghingaro sbaraglia il campo con il 53,7%, così come Andrea Benini a Follonica con il 54%.

Tornando alle intemerate renziane, è inevitabile per Bonafè la domanda su come il Pd intenda far pesare il suo corposo successo nell’esecutivo regionale. La risposta è di maniera: «Sulla composizione della giunta la responsabilità delle scelte è del presidente». Un Eugenio Giani che si è preso 15 giorni per decidere, e che ha passato il suo primo giorno da governatore fra una visita alla Madonna di Montenero («Mi ha dato forza»), e un’altra alla cristalleria Rcr in periodica crisi a Colle val d’Elsa, con la segretaria generale toscana della Cgil, Dalida Angelini, a fargli da tutor.

NEL MENTRE masticava amaro Susanna Ceccardi. Prima di tornare a Bruxelles ha fatto una conferenza stampa che non contemplava le domande dei, giustamente perplessi, cronisti. Lei ci aveva creduto. E a ben vedere, con la spinta determinante di Fdi a Grosseto, la sua destra è stata avanti a Giani anche nelle province di Arezzo, Lucca, Massa Carrara, e pur di poco a Pistoia. Molto meno popolose però di quelle di Firenze, Prato, Livorno, Pisa e Siena, lì dove il centrosinistra gianiano ha fatto tabula rasa o quasi.

Quanto alla sinistra cancellata dal Consiglio regionale, sia nella versione con il Pd che alternativa al Pd, valgono le parole di un vecchio, indomito saggio come Renzo Ulivieri: «Andando tra la gente ho verificato che la sinistra non c’è più, tutta assieme la sinistra vera non raggiunge il 15%. Dobbiamo cambiare il nostro modo di comunicare e di farci ascoltare». Un’impresa.