«Arditi parallelismi e infamanti accuse che qualificano soltanto chi li proferisce». Reagisce male, il capo della polizia Franco Gabrielli, alle parole pronunciate dal sostituto procuratore della corte d’Appello di Genova Enrico Zucca che durante un’iniziativa dell’ordine degli avvocati su Giulio Regeni aveva detto: «I nostri torturatori sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?».

La sua però è una difesa d’ufficio un po’scontata e retorica: «Noi facciamo i conti con la nostra storia ogni giorno, noi sappiamo riconoscere i nostri errori – ha detto Gabrielli durante un’iniziativa ad Agrigento in ricordo di Beppe Montana, poliziotto ucciso dalla mafia nel 1985 – Noi, al contrario di altri, sappiamo pesare i comportamenti. Ma al contrario di altri, ogni giorno i nostri uomini e le nostre donne, su tutto il territorio nazionale, garantiscono la serenità, la sicurezza e la tranquillità».

EPPURE, NEANCHE UN ANNO fa in un’intervista a Repubblica Gabrielli affermava a chiare lettere che durante il G8 del 2001 nella caserma di Bolzaneto venne praticata la «tortura» e che se fosse stato al posto di Gianni De Gennaro si sarebbe «dimesso». Lui che nell’aprile 2016 venne spostato velocemente dalla prefettura di Roma al vertice della polizia proprio per dare manforte ad un governo che annaspava davanti alla Corte di Strasburgo chiamato a difendersi per le violenze alla Diaz. «La nottata non è mai passata – disse Gabrielli nell’intervista – A Genova, un’infinità di persone, incolpevoli, subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. E se tutto questo, ancora oggi, è motivo di dolore, rancore, diffidenza, beh, allora vuol dire che, in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente. Né è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori».

Sei mesi dopo, uno dei protagonisti di quella storia, Gilberto Calderozzi, condannato in via definitiva a 3 anni e otto mesi per aver attestato il falso e coperto omertosamente le violenze e le torture inferte dalle forze dell’ordine all’interno della scuola Diaz divenne il numero due della Direzione investigativa antimafia.

IERI PERÒ, al solito bailamme sollevato dalle destre e dai sindacati delle forze dell’ordine – i funzionari di polizia parlano addirittura di «rischio disordini» – il presidente della Prima commissione del Csm, Antonio Leone, ha chiesto l’apertura di una pratica sul caso «per valutare gli eventuali profili di incompatibilità», anche se il vicepresidente Giovanni Legnini si è limitato a definire quella di Zucca «una dichiarazione impegnativa con qualche parola inappropriata». Mentre il ministero di Giustizia ha acquisito la registrazione integrale del convegno dell’ordine genovese degli avvocati.

Ma l’ex pm del processo Diaz – che considera «normale e doveroso» l’accertamento dei fatti da parte degli organi competenti – insiste sul punto: «La rimozione del funzionario condannato è un obbligo convenzionale, non una scelta politica, e queste cose le ho dette e scritte anche in passato. Il Governo deve spiegare perché ha tenuto ai vertici operativi dei condannati. Fa parte dell’esecuzione di una sentenza». E ancora, riferendosi al caso Regeni: «Se noi violiamo le convenzioni, è difficile farle rispettare ai Paesi non democratici. Il mio messaggio di ieri era: crediamo in primis noi ai principi, prima di pretendere che ci credano altri». I genitori di Giulio, il ricercatore torturato e ucciso al Cairo che non ha ancora ottenuto verità e giustizia, hanno voluto esprimere «la nostra stima e gratitudine al dott. Zucca per il suo intervento preciso ed equilibrato».

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Enrico Zucca

D’ALTRONDE IL PROCURATORE della Corte d’Appello genovese non ha fatto altro che fotografare la realtà. Lo ricorda Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, quando dice che Zucca «evidenzia qualche problema reale, non sta inventando niente». E lo ricorda Magistratura democratica con una nota in cui osserva «che le pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Europea dei diritti dell’uomo hanno qualificato i fatti di Genova in termini di tortura e hanno censurato il nostro Paese per non avere posto in essere quegli adempimenti procedurali – tra cui la sospensione dal servizio dei responsabili – necessari per prevenire e reprimere il delitto di tortura». «Sulla base di queste premesse condivise», la corrente democratica dell’Anm ritiene dunque «che non possa qualificarsi oltraggioso per le forze dell’ordine ribadire l’incidenza di quella grave vicenda sulla credibilità delle istituzioni», dentro le quali, «si collocano le forze di polizia con il loro quotidiano e indispensabile lavoro, nella legalità e a tutela della legalità».

Solidarietà a Zucca è stata espressa anche da Pap, Leu, e da numerosi giudici, legali, studiosi e cittadini comuni che hanno sottoscritto un appello – e invitano a firmare (appellozucca@altreconomia.it) – affinché si applichino le indicazioni prescritte nelle condanne Cedu per Diaz e Bolzaneto.