Le cose che ricordo meglio sono gli errori», strappa subito un sorriso la prima scena del documentario su Aldo Tortorella proiettato ieri in una Casa del Cinema affollata per l’affettuoso festeggiamento del 90esimo compleanno di Aldo Tortorella, il partigiano Alessio, il direttore dell’Unità di Genova, Milano e Roma, poi nella segreteria di Berlinguer e berlingueriano «dell’alternativa», deputato e contrario alla svolta di Occhetto. A Villa Borghese ieri pomeriggio si è riunita la famiglia comunista superstite, con le sue derive, le sue derivazioni e i suoi rivoli, perfino i suoi vicoli ciechi: da Veltroni a Bertinotti, da Cuperlo a Landini, a Fassina, Ferrero; il costituzionalista Ferrara, lo storico Liguori, la Sinistra italiana in forze, Gianni, Musacchio, Di Siena, Argada, Vincenzo Vita, i ’senatori’ Luciana Castellina, Lucio Manisco, Citto Maselli, Valentino Parlato, e ancora Salvi e Mattioli, e il vecchio Pci romano da Ugo Sposetti a Mario Quattrucci e Paolo Ciofi. Tante donne per lo più femministe – da Livia Turco a Maria Luisa Boccia a Bianca Pomeranzi, fino alla moglie Chiara Valentini – segno di fascino ma anche di una riflessione non frequente, anzi rara, per i maschi comunisti di quella generazione.

Torniamo dunque agli «errori». Non che Tortorella ne abbia fatti più di altri, anzi. Ma il punto è che quest’uomo ironico («questo documentario valorizza molto il mio naso», chiosa alla fine) è soprattutto un intellettuale rigoroso. Per descrivere questa sua caratteristica Maria Luisa Boccia cita Virginia Wolf: «Pensare, pensare, dobbiamo», dice, cercare le risposte è un compito che – qui invece cita Carla Lonzi – «è già politica».

Il documentario (di Uliano Paolozzi Balestrini, Francesca Bracci e Alberto Leiss, sax di Michele Leiss) è potente, ma con cifra Tortorella. Come quando racconta la galera fascista attraverso la fuga vestito da infermiera (nel buio della sala c’è chi giura che era da suora); o quando mentre spiega di aver consigliato Berlinguer che fosse il Pci a organizzare i funerali di Pasolini, indugia sulla pessima idea «e drammatica avventura sulle scale» di arrampicare il feretro su per il secondo piano della sede. C’è la sua storia nel Pci dal dopoguerra alla fine. Il ’56 dei carrarmati in Ungheria «e la tentazione di uscire» (invece resta ascoltando il suo maestro Banfi e Ingrao); la liberazione che «non c’è senza libertà», né l’uguaglianza; la perifrasi arzigogolata per non definire «paesi socialisti» quelli del blocco sovietico e invece «paesi in cui per la prima volta si è sperimentata la proprietà sociale dei mezzi di produzione»; la polemica sul manifesto con Cesare Luporini sul comunismo come «punto di vista critico sulla società» e non come «orizzonte», bello e irraggiungibile.

Tutto quello che dice ha una relazione stretta con il presente, come si confà ai maestri. Dopo la proiezione, più per gratitudine che per omaggio, si raccontano le «vite intrecciate». Come quella del festeggiato e Castellina, amici da subito – e cioè dalla tessera Pci di lei nel ’47- poi di nuovo amici dopo la svolta della Bolognina. In mezzo il gelo della radiazione del manifesto, fine ’69, e un «pirla» che Tortorella schiocca alla giovane radiata, con quella sua famosa erre arrotata, che però non la offende perché, dice, «oggi capisco benissimo che su molto eravamo d’accordo ma lui sapeva sacrificare le sue idee per il collettivo per responsabilità», e «ancora oggi resto convinta di quello che abbiamo fatto, ma non posso non chiedermi se non avremmo dovuto avere pazienza» mentre lui «intellettuale raffinato ma fino in fondo comunista, ha avuto il coraggio della pazienza».

Il passo della rivoluzione è il passo del più lento, diceva Guevara: però mentre preparava la sua rivoluzione. Tema cruciale, quello del collettivo e della responsabilità verso gli altri s’intende; oggi, non solo cinquant’anni fa. Non è un caso che parlano anche i e le ’giovani’ della famiglia della sinistra: Arturo Scotto, Stefano Fassina, Eleonora Forenza. Il segretario della Fiom Maurizio Landini ricorda sorridendo come a lui, giovane militante i compagni dicevano: «Se vuoi leggere l’intellettuale, leggi Tortorella».

Ancora oggi, nei mala tempora della sinistra, leggere Tortorella è un buon esercizio. Sulla nuova serie di Critica Marxista, di cui è direttore, rivista che non si stanca di «ripensare e rinnovare la sinistra» (come l’associazione che ha fondato, «per il rinnovamento della sinistra». Oppure in un’intervista al manifesto, lo scorso 3 giugno, dove – lo ricorda Alfiero Grandi – smonta gli argomenti del sì alla riforma costituzionale. Secondo secondo Renzi si aspetta da trent’anni? Semmai, spiega, per la destra «l’argomento è ancora più antico, risale a Scelba quando nel ’50 dice che la Costituzione non può diventare una trappola, ha troppe garanzie». E, parlando alla sua parte concludeva: «Servirebbe una sinistra, ma bisogna prima intendersi su cosa possa essere oggi». Perché la sinistra è stata un’avventura, ha spiegato ancora ieri, a volte anche «disastrosa» persino «avventurista».Non c’è scorciatoia, «serve ritrovarsi per pensare, prima di fare». Quel pensare, appunto, che è già politica.