Quando Michelangelo morì, nel febbraio del 1564, il Concilio di Trento era alle sue battute finali. Una delle prime conseguenze delle attuazioni dei decreti conciliari fu quella di coprire le nudità dei personaggi raffigurati nell’immenso Giudizio Universale della Cappella Sistina, eseguito vent’anni prima. L’incarico fu affidato a Daniele Ricciarelli, meglio noto come Daniele da Volterra. Chi, se non lui, avrebbe potuto farlo?
Legato al ‘Divino’ da più di vent’anni, Daniele era divenuto un artista capace di fare proprie le idee e gli stimoli del linguaggio figurativo delle ultime opere dell’artista fiorentino. Da quando si erano incontrati nella Roma degli anni quaranta, regnante Paolo III Farnese, Daniele aveva in breve iniziato una strada nuova. Nato a Volterra nel 1509, aveva mosso lì i primi passi come pittore per poi spostarsi a Siena, dove Fiorella Sricchia Santoro ha riconosciuto la sua mano nell’affresco raffigurante Augusto e la Sibilla (Santa Maria in Portico a Fontegiusta). Fu poi la volta di Roma, dove giunse intorno alla metà degli anni trenta. Entrato in contatto con Perin del Vaga, all’epoca impegnato in diversi cantieri, Daniele divenne suo aiutante e sodale, all’incirca sino al principio degli anni quaranta.
Come scrisse Giorgio Vasari nel 1568, Daniele era un pittore lento, ma le cui opere dovettero incontrare il favore delle richieste dei committenti. In una vera e propria escalation, riuscì a ottenere committenze che giungevano dalle più importanti famiglie della Roma papale: i Massimo, gli Orsini, i Della Rovere. Da lì alla famiglia papale, i Farnese, il passo fu breve: tanto per il loro palazzo di famiglia quanto per il Palazzo Apostolico l’artista realizzò affreschi e stucchi.
L’incontro con la gigantesca personalità di Michelangelo segnò gli anni successivi, e non solo in termini di creatività artistica. Fu proprio grazie al fiorentino, infatti, che Daniele ottenne da papa Paolo III l’incarico di sovrintendere alle decorazioni del Palazzo Vaticano. Un fervido scambio di idee che caratterizzò anche alcune commissioni congiunte, come per esempio i dipinti per Giovanni della Casa o la decorazione per la cappella del cardinal Giovanni Ricci in San Pietro in Montorio.
È a questo milieu, michelangiolesco e romano, che risalgono due opere speciali come l’Elia nel deserto e la Madonna col Bambino, san Giovannino e santa Barbara. Fino all’anno scorso questi due dipinti erano ancora assieme nel palazzo Pannocchieschi d’Elci a Siena, dove approdarono per via matrimoniale nel 1888, quando Guglielmo Ricciarelli sposò Laura di Achille Pannocchieschi d’Elci. A lungo, però, erano state a Volterra, proprio in casa Ricciarelli: attraverso il ramo di Leonardo Ricciarelli, nipote ed erede di Daniele.
L’Elia è citato per la prima volta a Volterra in casa Ricciarelli nella raccolta Elogio degli uomini illustri toscani di Persio Benedetto Falconcini (4 voll., Lucca 1771-’74, nel terzo volume del 1772). Un inventario manoscritto dei beni della dimora Ricciarelli (1794) lo elenca senza attribuzione; come opera di Daniele è in un inventario del 1855. Per quanto la Madonna non figuri in questi documenti, nondimeno è ricordata in casa Ricciarelli a partire dalla guida di Volterra di Annibale Cinci (1885).
Come è noto l’Elia nel deserto è stato acquisito dalla Galleria degli Uffizi lo scorso luglio. Un’opera che gli studi di Barbara Agosti hanno permesso di ricondurre all’ambito delle confraternite romane del Sacramento, sostenute da Paolo III. Gli occhi rivolti al Michelangelo della Sistina e alle sue invenzioni, combinate col disegno di Perin del Vaga, l’Elia si pone anche come una rimeditazione su motivi tratti da Polidoro da Caravaggio e dallo stesso Perino, come ad esempio nella tenue azzurrità del paesaggio popolato da rovine antiche. L’altra opera, già segnata dal confronto col Giudizio finale, presenta figure scultoree in uno spazio quasi compresso, saturo della monumentalità dei personaggi.

Queste due opere sono connesse da un legame profondo: testimoniano di un momento cruciale tanto per l’artista quanto, più in generale, per la pittura cinquecentesca nell’Italia centrale. E fu un momento cruciale legato soprattutto a Roma, alla capitale pontificia, ove Daniele da Volterra operò e realizzò le due opere. È per questo che si deve fare di tutto perché i due quadri stiano assieme, e assieme siano visibili, per il pubblico e per gli studi. Entrambe queste rare e bellissime testimonianze dell’attività pittorica di Daniele furono distintamente vincolate dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali nel 1979 come opere di rilevante interesse per il patrimonio culturale italiano. Questo opportuno atto di tutela, proposto e gestito dalla Soprintendenza di Siena, ha favorito la loro presenza, prima alla mostra Daniele da Volterra amico di Michelangelo (a cura di Vittoria Romani, Firenze, Casa Buonarroti, 2003, catalogo Mandragora), e poi a quella, a esse specificamente dedicata, che si è tenuta alla Galleria Nazionale Corsini di Roma nella prima metà del 2017 (Daniele da Volterra. I dipinti d’Elci, a cura di Barbara Agosti e Vittoria Romani, catalogo Hirmer Verlag, Monaco di Baviera).
La rinnovata attenzione critica per il pittore volterrano ha messo in moto per queste sue opere una concertazione virtuosa fra la Galleria Benappi di Torino, agente per i proprietari, e le Gallerie degli Uffizi di Firenze, che ha portato all’approdo dell’Elia nel prestigiosissimo museo fiorentino. È ora intenzione degli Uffizi avviare lo stesso percorso di acquisto anche per la Madonna. Questo esito non sarebbe per niente scontato, dato che nemmeno il vincolo può impedire che le due opere possano essere vendute separatamente, per finire ancora in mani private, ancorché italiane.
Prima ancora che l’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato, la sorveglianza della Soprintendenza di Siena ha indirizzato verso la stessa destinazione pubblica le due opere, sottolineandone l’inscindibile legame storico non solamente perché sono dello stesso autore ma anche per il fatto di provenire entrambe dall’antica collezione volterrana di casa Ricciarelli. Ci si augura che anche questo nuovo accrescimento delle collezioni del più importante e attivo museo nazionale si concluda molto presto. Agli Uffizi i due dipinti di Daniele potranno trovare un giusto contesto culturale e accompagnarsi, fra l’altro a un terzo capolavoro del pittore, la tragica e concitata Strage degli innocenti, che l’artista dipinse per la chiesa di San Pietro a Volterra nel 1557.