Incontro Giuseppe Tornatore a Jeddah, in Arabia Saudita. È dicembre, è mattina e fa già caldo. Tornatore presiede la giuria del «Red Sea International Film Festival» – alla sua prima edizione in un paese in cui il cinema è ai suoi esordi. «Volevo essere in un luogo dove il cinema stava praticamente per essere reinventato da zero ed io volevo esserci,» mi ha detto. «Mi ha anche incoraggiato essere questi giorni qui, e vedere la gente che fa la fila per andare a vedere i film. Quando nel nostro paese abbiamo il problema opposto, con la gente che ha paura di andare al cinema. E quindi vedere queste scene di donne, di donne da sole, gruppi di donne che facevano la fila per andare a vedere un film mi ha molto incoraggiato».

Proprio durante i giorni del festival è arrivata la notizia che West Side Story di Spielberg è stato bandito dal paese.
«La censura ce l’avevamo anche noi. L’abbiamo avuta per tanto tanto tempo. Molti registi e molti autori l’hanno anche sofferta. Poi pian- piano il cinema è stato più forte della censura, ha educato la collettività, il modo di pensare e oggi possiamo dire che da noi non ci sia più, anche se non è proprio così. E quindi immagino che questo processo di apertura che si è avviato con grande forza in questo paese possa portare anche a una maggiore elasticità.

Detto questo, devo anche dire che i film che io ho visto mi sono sembrati tutti film molto coraggiosi, che affrontano delle tematiche molto importanti, talvolta anche con una prospettiva e – punti di vista che non ti aspettavi di trovare nella prima edizione di un festival in un paese che si sta aprendo solo adesso. Mi ha incoraggiato molto. Mi è sembrato un messaggio di grande speranza. E quindi questi slogan che ho letto sui muri – l’onda del cambiamento: i film ti cambiano – non mi sono sembrati solo degli slogan. Mi sono sembrati corrispondenti al clima che ho vissuto intorno a me in queste giornate».

Oltre al suo ruolo di presidente della giuria, il festival proietta la sua ultima opera, il documentario su Ennio Morricone, già proposto dalla Mostra di Venezia ma qui per la prima volta in una versione un po’ più corta.
Le fa piacere presentare «Ennio» qui?
Assolutamente sì. Anche questa idea di mostrare al pubblico il film su Ennio è un’idea loro. Però mi ha fatto piacere perché le sue musiche sono conosciute dappertutto. Magari il pubblico qui non conosceva la storia di Ennio, e questo documentario dà loro l’opportunità di conoscerla ma alcune delle persone che l’altra sera dopo averlo visto sono venute a parlarne, sono state attratte e più dalla sua storia, dall’aspetto umano della sua storia.

In che senso?
C’è un momento nel film in cui Morricone racconta, che è una cosa che io amo molto, di quando il padre che suonava la tromba, e ogni tanto lo chiamava per alcuni lavori, ad un certo punto suo padre comincia ad avere una certa età e non è più bravo, allora lui, per non essere in difficoltà e per non mettere in imbarazzo il padre non scrive più – tromba, nelle sue composizioni non ci mette più la tromba, per evitare di offendere il padre chiamando altri trombettisti o di subire lui un’esecuzione non più perfetta. Così lui non scrive più per la tromba, per anni, poi dopo che il padre muore riprende a scrivere per la tromba. Questa è una cosa fortissima che ti dà già il senso della personalità di Ennio Morricone. Alcune persone sono venute a parlarmi di questo, più che dell’Oscar, più che dei film che fischiettavano. Mi ha molto colpito. Quando vai in un altro mondo, in un altro paese dove c’è un’altra lingua, un’altra cultura e mostri quello che tu hai fatto e cogli le cose che arrivano prioritariamente, hai sempre delle grandi sorprese e scopri sempre che andare in giro è sempre giusto, non è mai sbagliato.

Il film mostra come Morricone non fa parte della storia del cinema italiano ma è la storia del cinema italiano.
Devo dire che la soglia professionale di Morricone è talmente ampia e io l’ho voluto raccontare in ordine cronologico proprio per questo perché mi consentiva di mostrare anche una trasformazione storica del nostro cinema. Lui comincia a suonare la tromba nelle orchestre, nei film di Alessandro Blasetti, quindi negli anni trenta e piano piano – vede tutta l’evoluzione del nostro cinema con tutti i suoi cambiamenti. È cambiato tante volte il cinema perché il linguaggio si è sempre arricchito. E oggi è ancora – più diverso di una volta perché oggi nell’era digitale il cinema non è più come era una volta. Intendo soprattutto nel modo come lo si fa perché poi un racconto è sempre quello.

Però ecco se Ladri di Biciclette non fosse stato mai realizzato e lo si realizzasse adesso, dal punto di vista visivo sarebbe diverso. Forse la storia manterrebbe la stessa forza: non lo so. Perché dipende anche dal contesto storico in cui un film lo fai. Infatti in quell’epoca Ladri di biciclette aveva un significato, forse oggi ne avrebbe uno diverso da noi; forse avrebbe un altro significato forte in qualche altro paese. Quindi il cinema è sempre uno spettro che cambia le cose. E oggi è tutto diverso perché il linguaggio digitale è cambiato molto. La gente non deve più andare a vedere i film ma sono i film che vanno a vedere la gente. È cambiata proprio la posizione. Prima i film erano al centro e tutti gli altri si muovevano intorno. La gente doveva cercarlo il film. Adesso non è così. Il film se vuol essere visto dalle persone deve cercarsele. Ed è più difficile.

E una figura come Morricone può emergere adesso?
Non lo so. Di musicisti molto bravi ce ne sono tanti. Ovviamente è cambiato proprio l’approccio con la scena. Una volta, quando Morricone doveva realizzare un brano musicale per una scena che durava quattro minuti, e lui la concepiva così , la registrava con l’orchestra e non la poteva cambiare. Quindi la sua bravura – e in questo lui era veramente il maestro dei maestri – era di riuscire anche tecnicamente a entrare e uscire nei momenti topici della sequenza entrando uscendo dai dialoghi con una struttura. Oggi col digitale la maggior parte dei musicisti registrano il pezzo e poi lo disciplinano al montaggio grazie ai vari sistemi che esistono. Quindi la creatività è aiutata dalle molte opportunità tecniche. Forse qualcosa si perde. Ma la risposta alla sua domanda è un’altra. Oggi un musicista che comincia a lavorare all’età di quindici anni e continua a lavorare fino a novant’anni, io non lo so se esiste, se può esistere. Perché oggi curiosamente le cose si bruciano. È tutto veloce. Qualcuno ha un momento di grande successo e dopo tre anni non ne senti parlare più . Mentre Morricone è stato uno che non ha mai inseguito il successo, ed è la verità, lui ha sempre fatto il suo lavoro, sempre con lo stesso impegno senza guardare al successo. Grazie a questo suo approccio è sempre stato su una breccia per settant’anni. Questo approccio oggi non so se si riesce ad averlo e quindi non so rispondere alla sua domanda. Però di bravi musicisti ne abbiamo tanti e soprattutto di musicisti che sanno mettere a frutto la lezione dei loro predecessori.