È uno dei pochi punti per cui è prevista una posta precisa. «Cinque miliardi» per «agevolare l’uscita dal mercato del lavoro», reintrodurre Quota 100 e rilanciare l’opzione donna. Rispetto agli strali di Salvini e Di Maio in campagna elettorale con il loro diverso ma comune «cancellare la Fornero», il «contratto per il governo del cambiamento» fa molte marce indietro. Rimane il sistema contributivo, rimane l’adeguamento all’aspettativa di vita, non c’è la pensione di garanzia – anche se c’è quella di cittadinanza, ma nel capitolo del reddito – chiesta a gran voce dai sindacati per risolvere il vero problema: le pensioni di chi ha subito la crisi, in primis i precari di oggi che avranno pensioni da fame fra 30-40 anni.
L’idea di riproporre il sistema delle quote – la somma tra età e anni di contributi cancellata proprio dal ministro leghista Roberto Maroni e dall’ex alleato Tremonti – mira «a consentire il raggiungimento dell’età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva». A legislazione vigente, ora servono 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. La «somma 100» è certo un bel passo avanti rispetto ai 66 anni e 7 mesi necessari ora per la pensione (67 dal 2019) ma non sposta il centro del problema previdenziale in Italia: garantirà a molti lavoratori e lavoratrici dell’industria di poter andare in pensione prima, ma non a chi ha avuto contributi discontinui.
Quanto alla proroga dell’opzione donna – la possibilità di andare in pensione con un calcolo tutto contributivo con 35 anni di anzianità – è un pannicello caldo, così come saranno pochi i proventi dal taglio delle pensioni d’oro: pochi milioni rispetto ai 5 miliardi stanziati.