È stata una carnefina, tra le più gravi avvenute negli ultimi anni a Beirut. Almeno 37 persone – uomini, donne, bambini – sono state fatte a pezzi da due kamikaze con cinture esplosive che si sono fatti saltare in aria simultaneamente davanti ad un centro commerciale di Burj al Barajneh, un sobborgo meridionale di Beirut, che ospita l’omonimo campo profughi palestinese, e considerato una roccaforte del movimento sciita Hezbollah. La Croce rossa libanese ha comunicato che ci sono stati anche 181 feriti, molto dei quali in condizioni gravissime, con poche speranze di salvarsi. Non ci sono dubbi che questa strage sia una “lezione” che qualcuno, probabilmente un gruppo vicino al Fronte al Nusra (al Qaeda) o a Daesh (lo Stato islamico), ha voluto dare ad Hezbollah per il suo impegno militare in Siria contro i jihadisti che combattono il governo di Damasco.

Ieri all’ora dell’attentato, le 18 locali, la zona di Burj al Barajneh, una delle aree più povere della capitale libanese, era molto affollata. E centinaia di persone facevano acquisti all’interno del centro commerciale. Un testimone, Nouhad Machnouk, ha raccontato all’agenzia britannica Reuters di aver scorto i kamikaze: erano a piedi e indossavano giubbotti esplosivi. Dopo qualche attimo si sono fatti saltare in aria gettando la zona nella morte e nel caos. La francese Afp ha riferito di ingenti danni agli edifici intorno al luogo dell’esplosione e corpi delle vittime all’interno di molti negozi.

L’esplosione è stata la prima a colpire la periferia meridionale di Beirut dal giugno 2014, quando un attentato uccise una guardia privata. Prima di allora una serie di attacchi avevano preso di mira le roccaforti di Hezbollah in tutto il Libano. Tra il luglio 2013 e il febbraio 2014 ci sono stati nove attacchi rivendicati da estremisti sunniti. Le vittime sono state molte decine, quasi sempre civili innocenti come quelli di ieri sera. Hezbollah dopo due anni di combattimenti in Siria, lungo la frontiera con il Libano, aveva ripulito tutta l’area dalle roccaforti di al Nusra. Un’operazione che aveva interrotto la catena di attenatati, non tutti suicidi, compiuti nei quartieri di Beirut sotto l’influenza del movimento sciita. Decisiva era stata la riconquista da parte dei combattenti sciiti e dell’esercito governativo siriano di Qusair, una cittadina di confine all’interno della Siria, e successivamente quella di Arsal, un bastione del radicalismo sunnita in territorio libanese divenuto dopo l’inizio della guerra civile siriana il principale transito per le infiltrazioni jihadiste nel Paese dei Cedri. I servizi di sicurezza inoltre negli ultimi anni sono stati in grado di individuare e bloccare diversi militanti e leader di cellule legate ad al Nusra e all’Isis, in particolare in alcuni quartieri della città portuale di Tripoli, punto di riferimento del sunnismo più fanatico e anti-sciita.

Gli attentati di ieri sera indicano che qaedisti e jihadisti sono stati in grado di riorganizzarsi in Libano, dove godono di non pochi appoggi. Il Paese, segnato nei mesi scorsi da forti proteste sociali, resta politicamente spaccato a metà tra il Fronte “14 marzo” filo occidentale e anti Bashar Assad e lo schieramento “8 marzo” guidato da Hezbollah che invece appoggia il presidente siriano. Una frattura che da circa due anni impedisce l’elezione del nuovo capèo dello stato. Da parte sua Hezbollah ha confermato, attraverso il suo segretario generale Hassan Nasrallah, che continuerà a combattere in Siria dove, tuttavia, ha subito perdite significative che oscillano, a seconda delle fonti, tra 500 e 1000 uomini.