Erano le 6.45 locali quando ieri due ordigni posizionati all’interno di un autobus militare siriano sono esplosi mentre l’automezzo passava sul ponte Hafez al Assad a Damasco. Almeno 14 i soldati uccisi, altri sono rimasti feriti. Una strage che i suoi responsabili volevano ancora più grave. Gli artificieri hanno scoperto un terzo ordigno, rimasto inesploso, che hanno fatto brillare. Torna di nuovo il terrorismo nella capitale siriana, per ora senza firma. Si guarda all’Isis che si sta ricostituendo in Siria e non è più limitato alla presenza di poche cellule nell’est desertico del paese sopravvissute alla caduta dello Stato islamico e del suo emiro Abu Bakr al Baghdadi. Ma non si escludono altre mani poiché il tipo di attentato rispecchia poco il modus operandi dell’Isis. Il ministro dell’interno, Mohammad al-Rahmoun, ha sottolineato che l’attacco nella zona di Jisr al-Rais «è arrivato dopo aver eliminato il terrorismo dalla maggior parte del territorio siriano e coloro che hanno pianificato questo attacco codardo volevano colpire il maggior numero possibile di cittadini».

I commentatori vicini ad Assad e al governo nazionale non hanno tardato a mettere in relazione l’attentato di ieri con i tiri dei cecchini di giovedì scorso sulla manifestazione sciita organizzata a sud di Beirut dai partiti libanesi Hezbollah e Amal, alleati di Damasco. E fanno riferimento all’offensiva contro la cosiddetta «Mezzaluna sciita» guidata dall’Iran che l’Amministrazione Biden, Israele e i loro alleati arabi avrebbero rilanciato negli ultimi mesi. La scorsa settimana il segretario di Stato Antony Blinken si era espresso contro la ripresa in corso dei rapporti tra alcuni paesi arabi e la Siria. E ha aggiunto che sino a quando non ci saranno progressi politici – la rimozione in un modo o nell’altro del presidente Bashar Assad – Washington resterà contraria alla ricostruzione del paese devastato da anni di guerra.

La Siria da tempo è uscita dai radar dei mezzi d’informazione internazionali. L’attentato di ieri punta di nuovo i riflettori sul paese dove, in realtà, lo spargimento di sangue non è mai cessato. Mentre ieri le due bombe esplodevano sull’autobus militare, almeno sei combattenti filogovernativi sono stati uccisi dallo scoppio, per cause sconosciute, di un deposito di munizioni a sud della città di Hama. Altri morti anche nella provincia di Idlib, sotto il controllo di organizzazioni jihadiste e islamiste radicali, dove un bombardamento partito da forze governative su Ariha avrebbe fatto almeno 13 morti. Le Nazioni unite, attraverso l’Unicef, sostengono che l’attacco ha ucciso almeno cinque civili. «I nostri uffici in Siria ci hanno informato che quattro bambini, tre maschi e una femmina, e un insegnante sono stati uccisi mentre si recavano a scuola in un attacco a un mercato ad Ariha. Il numero di bambini feriti e uccisi (in Siria) continua ad aumentare. È una strage. Ripetiamo i nostri appelli a coloro che combattono che i bambini non sono un bersaglio. Dovrebbero essere protetti in ogni momento, specialmente in tempi di conflitto», ha esortato Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. Un altro attacco governativo con colpi di mortaio qualche giorno fa avrebbe fatto tre morti a Sarmada a pochi chilometri dal confine con la Turchia.

L’impennata di attentati e bombardamenti avviene mentre i rappresentanti di governo e opposizione nel Comitato costituzionale siriano hanno concordato di redigere la nuova costituzione. Lo ha comunicato l’inviato speciale delle Nazioni unite, il diplomatico norvegese Geir Pedersen. Composto da 45 rappresentanti del governo, dell’opposizione e della società civile siriana, il Comitato ha il mandato di elaborare le nuove leggi costituzionali con l’obiettivo di andare ad elezioni organizzate e monitorate dalle Nazioni Unite. Ciascuna componente presenterà proposte su varie questioni, tra cui la sovranità e lo stato di diritto. Contro una soluzione negoziata tra Assad e l’opposizione resta il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha presentato al Parlamento di Ankara una richiesta di estensione di due anni del mandato per le offensive militari in Siria e Iraq (contro i curdi).