Prima della restituzione al Benin di 26 opere rubate a fine Ottocento dall’esercito francese e conservate in Francia, il Musée du Quai-Branly-Jacques Chirac espone, dal 26 al 31 ottobre, questo insieme di troni, statue antropomorfe e oggetti simbolici del potere, in una mostra che ripercorre la storia della creazione delle opere nel paese d’origine, il conflitto coloniale, la museografia parigina e le specificità giuridiche che hanno reso possibile questa restituzione. Contemporaneamente, ci sarà una settimana di convegno internazionale, con incontri, discussioni, spettacoli teatrali e cinema.

VIENE COSÌ AFFRONTATA una questione problematica, che resta ambigua anche con queste restituzioni. Le opere sono state rubate dal colonnello Alfred Dodds nel corso della guerra coloniale del 1890-94 tra la Francia e il regno del Dahomey, nel saccheggio del palazzo reale di re Benhanzin il 17 novembre 1892. Dodds tra il 1893 e il 1895 consegna parte del bottino al Museo di Etnografia del Trocadero, la cui collezione dal 2003 è conservata al Quai Branly. Le opere verranno accolte in Benin temporaneamente a Ouidah, poi, nel 2022, andranno al futuro Museo dell’epopea delle amazzoni e dei re del Dahomey, che è in costruzione (con un finanziamento di 12 milioni di euro da parte dell’Agenzia francese di sviluppo, realizzato da Expertise France).

LA DECISIONE DI RESTITUIRE alcune opere ai paesi d’origine era stata annunciata da Emmanuel Macron, in un discorso a Ouagadougou nel 2017. Nel 2016, l’allora presidente François Hollande aveva invece rifiutato la domanda del presidente del Benin, Patrice Talon. Per rendere possibile questa restituzione limitata, c’è stato bisogno di una legge, votata dal parlamento a fine 2020, che permette una deroga, specifica, al carattere inalienabile delle collezioni dei musei francesi. Oltre alle 26 opere del Benin, la legge del 2020 ha permesso anche la restituzione di una spada al Senegal.

La Francia ha anche riconsegnato un’opera al Madagascar e delle teste di Maori alla Nuova Zelanda (con una legge del 2010), ma per il momento non ha risposto a domande provenienti da Etiopia, Costa d’Avorio e Senegal. Nel 2018, il rapporto Sarr-Savoy sulle opere rubate durante la colonizzazione aveva concluso sulla necessità di una modifica definitiva del codice del patrimonio francese. Ma questa proposta non è stata accolta e le restituzioni si fanno con il contagocce, caso per caso, con leggi specifiche.

IL QUAI-BRANLY, il museo sulle arti prime, conserva più di 70mila oggetti di 48 paesi africani (oltre a altre migliaia di altri continenti), tra cui 3157 opere del Benin. Se per la fondazione Zinzou del Benin, una delle più importanti dell’Africa per l’arte, «la legge del 2020 è molto importante», un discendente del re, il principe Désiré Degro, contesta la scusa della Francia – in Africa non sanno conservare le opere – per evitare le restituzioni: «abbiamo conservato per secoli delle opere dei nostri re prima che ce le rubassero, perché non saremmo capaci di conservarle oggi?». Il Benin contesta anche il fatto di non aver avuto possibilità di scelta.