Chiomonte, Val di Susa, da dove tutto partì. Poi, Torino, Pozzolo Formigaro (uno dei luoghi del Terzo Valico), Milano, Trieste, Roma, Caltanissetta. Sabato, torna in piazza il movimento No Tav con una serie di iniziative sparse, da Nord a Sud, all’interno di una giornata nazionale di lotta «contro la criminalizzazione del movimento, in solidarietà a Chiara, Nicolò, Claudio e Mattia e a tutti gli inquisiti», ma anche «contro lo spreco di denaro pubblico e per unire le varie lotte locali» in difesa della salute e dei territori. E a pochi giorni dalle manifestazioni cosa succede? Arriva all’Ansa un documento firmato Nuclei Operativi Armati (Noa), che annuncia «la lotta armata di liberazione contro il Tav» e un «tribunale rivoluzionario» che «condanna a morte» alcune persone ritenute «responsabili della repressione in atto». La lettera, su cui indaga la Procura di Torino, contiene minacce rivolte al senatore Pd Stefano Esposito e al capo della Digos Giuseppe Petronzi.

I No Tav respingono ogni tentativo di speculazione: «Il movimento ha un dna popolare, di massa, pronto a praticare a viso aperto la disobbedienza civile, senza spazio alcuno per la violenza contro le persone. Nessuno ha alcun titolo e nessuno può permettersi di strumentalizzare il movimento e tanto meno pensare di potersi sostituire al percorso di lotta deciso e costruito collettivamente nella pratica quotidiana». E concludono: «Conosciamo troppo bene i mandanti di queste operazioni vecchie di quarant’anni, rispediamo al mittente (governo & C) queste deliranti follie». I familiari dei quattro No Tav, arrestati il 9 dicembre con l’accusa di terrorismo, sottolineano la coincidenza tra «il delirante comunicato inviato all’Ansa» e il via della «campagna contro le vessazioni che i quattro stanno subendo in carcere». Si definiscono imbarazzati «dal ridicolo tentativo di collegare i nostri cari alla lotta armata da parte di un fantomatico e mai sentito Noa». Gli avvocati – Eugenio Losco, Claudio Novaro e Giuseppe Pelazza – dei quattro militanti denunciano un regime carcerario «più rigido rispetto a quello previsto per gli altri detenuti in Alta sicurezza». I legali spiegano: «L’isolamento e le altre restrizioni sono giustificate dalla Procura di Torino da ragioni investigative, che, peraltro, nessuna autorità giudiziaria si è preoccupata di vagliare e verificare, ma l’ordinamento penitenziario ammette l’isolamento degli imputati solo durante la fase delle indagini. Nel nostro caso, le indagini sono da tempo concluse e gli imputati sono stati già rinviati a giudizio per il dibattimento, fissato per il prossimo 14 maggio». Sottolineano come l’isolamento crei «grave sofferenza psichica» e che prolungarlo oltre il dovuto non rispetti i dettami della Corte europea dei diritti dell’Uomo, della Cassazione e dello stesso ordinamento penitenziario. Sul piano giudiziario si aggiunge un’altra novità: un carabiniere, riconosciuto grazie a un tatuaggio visibile in alcune immagini diffuse dall’Operazione Hunter dei No Tav, è stato citato a giudizio per lesioni ai danni di un dimostrante. Nelle immagini, riferite agli scontri del 3 luglio 2011, due attivisti vennero trascinati dietro le recinzioni in una zona di sicurezza, e colpiti con calci e manganellate. Il processo inizierà nel 2015. Quello ai manifestanti è invece iniziato nel novembre 2012.