Quando il presidente cinese Xi Jinping è apparso senza mascherina nei bilaterali al G20 di Bali e al summit Apec di Bangkok, molti hanno avanzato speculazioni su un allentamento della politica Zero Covid in Cina. L’immagine non è passata inosservata nemmeno ai cinesi, costretti a pagare l’alto prezzo della battaglia contro il virus che il governo di Pechino porta avanti da tre anni. Una battaglia che sembra non conoscere la parola fine.

Nella giornata di ieri, la Cina ha registrato quasi 28 mila nuovi casi di Covid, con Pechino, la provincia del Guangdong e la megalopoli di Chongqing che si confermano le aree più critiche. Il dato più preoccupante è il bilancio delle nuove vittime, dopo che negli ultimi sei mesi il numero dei nuovi decessi è rimasto stabile sullo zero. In quattro giorni, a Pechino le vittime sono state cinque: avevano più di 80 anni e soffrivano di diverse patologie.

Nella capitale cinese, che ha finora evitato una chiusura totale a favore di blocchi mirati, è stata imposta la chiusura di parchi e musei, la prova di un test negativo effettuato 48 ore prima per accedere nei luoghi pubblici e il ritorno alla didattica a distanza in diversi distretti della città. A Shanghai, invece, è prevista una stretta per chi entra nella megalopoli: da domani 24 novembre non sarà consentito l’ingresso in luoghi pubblici, come ristoranti e supermercati, a chi è arrivato nella città da meno di cinque giorni.

La situazione è grave e complessa anche a Chongqing, dove la zar del Covid, la vice premier Sun Chunlan, ha invitato l’amministrazione locale ad adottare una risposta scientifica e puntuale, evidenziando la necessità di bilanciare il controllo epidemico e la stabilità delle catene di approvvigionamento.

L’ultima spirale pandemica sta mettendo alla prova la strategia Zero Covid recentemente rivista per evitare blocchi a livello cittadino, che hanno lasciato un indelebile segno economico e psicologico. Una prima revisione della strategia è arrivata con la riunione del Politburo del Pcc dello scorso 11 novembre. I sette uomini più potenti del paese hanno deciso di allentare la stretta della draconiana misura per «ripristinare la normale produzione e l’ordine di vita il più presto possibile», attraverso un pacchetto di 20 misure «per ottimizzare ulteriormente il lavoro di prevenzione e controllo».

Il governo centrale ha quindi indicato alle autorità locali di adottare restrizioni più mirate e di astenersi dall’applicazione indiscriminata delle politiche antivirus. Un’indicazione che è stata osservata da Shijiazhuang, la città poco più a nord di Pechino che sembrava essere un banco di prova per l’allentamento delle politiche antivirus. Ma anche qui si è alzata la soglia di allarme dopo un’impennata di casi di Covid. Perché nella struttura di potere top-down tipica della Cina difficilmente i funzionari locali, che temono di poter essere incolpati per i contagi in aumento, si asterranno dall’applicare inflessibilmente le politiche di controllo del virus.

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L’ultimo inasprimento delle misure a Pechino e altrove ha rinnovato le preoccupazioni degli investitori nella seconda economia più grande del mondo. Gli analisti di Nomura hanno stimato che le località che rappresentano circa il 19,9% del Pil della Cina, quasi un quinto della produzione economica totale del paese, sia sotto una forma di lockdown o di restrizione, in rialzo sul 15,6% di una settimana fa.

Nel paese, molte aziende, in particolare quelle coinvolte nei servizi, temono che potrebbero non sopravvivere fino al prossimo anno tra chiusure improvvise e crollo dei consumi. Con l’impennata dei nuovi casi, sembra allontanarsi anche la speranza di un rilassamento completo previsto a metà marzo 2023 dopo le «due sessioni» (lianghui), il tradizionale appuntamento legislativo di Pechino con gli incontri dell’Assemblea nazionale e della Conferenza politica consultiva del popolo.

Il governo centrale teme che un abbandono della politica Zero Covid possa far sgonfiare quella bolla sicura in cui i cinesi vivono da quasi tre anni, dove il numero totale dei decessi non ha superato la soglia dei 5200 morti. Anche se la Cina si presenta come leader mondiale per l’alto tasso di vaccinazioni, con quasi il 90% dei cittadini completamente immunizzato, gli ultrasessantenni sono quelli più a rischio perché rappresentano lo zoccolo duro di chi non si vaccina: solo il 40% degli over 80 ha fatto le tre dosi richieste contro la variante Omicron, la più diffusa nel paese.

Il divario immunitario tra i cittadini spinge i funzionari cinesi a non allentare la presa dalla politica Zero Covid, per evitare un collasso del sistema sanitario nazionale. Ma l’Oms mette in guarda e invita Pechino a rivedere la strategia contro il virus. E questo non fa che aumentare le pressioni politiche su Xi Jinping e per la sua misura politica.