Mullah Baradar torna a essere un uomo libero. Il numero due del movimento talebano – subito dopo la guida suprema, il mullah Omar – è stato rilasciato ieri dalle autorità pachistane, che lo tenevano in “custodia” dall’8 febbraio 2010, quando venne arrestato nel corso di un’operazione congiunta effettuata a Karachi, sulla costa meridionale del Pakistan, dagli uomini della Cia e da quelli dei servizi segreti locali dell’Isi (anche se il governo pachistano ha sempre negato un coinvolgimento diretto). Il rilascio di mullah Abdul Ghani Baradar, annunciato da giorni dalle autorità del “paese dei puri” e richiesto da tempo dal governo afghano, segna forse una nuova fase nel negoziato in Afghanistan. Finora i colloqui di pace tra i gruppi anti-governativi da una parte, gli americani e il governo afghano dall’altra non hanno prodotto risultati significativi. Lo scorso giugno l’apertura dell’Ufficio politico dei Talebani a Doha, in Qatar, fortemente voluta dagli Stati uniti, è stata interpretata dal presidente Karzai come un’eccessiva legittimazione politica dei Talebani (che avevano issato la loro bandiera e presentato l’Ufficio come sede di rappresentanza diplomatica). Da qui, la decisione di congelare le attività dell’Alto consiglio di pace, l’organismo istituito da Karzai nel settembre 2010 per favorire il piano di riconciliazione, e di interrompere ogni dialogo con gli americani, anche quello sull’accordo bilaterale di sicurezza tra Afghanistan e Stati uniti. Solo da un paio di settimane Karzai ha riaperto le porte, lentamente. Chiedendo agli americani un più effettivo coinvolgimento del suo governo nelle trattative, e ribadendo ai pachistani la richiesta di liberare qualche pezzo grosso dei Talebani, dopo che il rilascio nell’ultimo anno di una trentina di esponenti talebani di medio calibro non aveva avuto effetti significativi.
Che il mullah Baradar sia tra i pezzi grossi, non ci piove: tra i quattro fondatori del movimento talebano nel 1994, già viceministro della Difesa al tempo dell’Emirato islamico d’Afghanistan, con il tempo è divenuto uno dei più fidati consiglieri del mullah Omar, tanto da guadagnarsi la guida delle operazioni militari e secondo alcuni anche la gestione del Dipartimento finanziario, da cui dipende l’attribuzione delle risorse ai diversi gruppi della composita galassia talebana. E tanto da diventare il numero due del movimento, fino al suo arresto, nel 2010. La versione più accreditata recita che i pachistani catturarono mullah Baradar perché stava cercando di smarcarsi dal legame asfissiante con l’Isi, cominciando a negoziare direttamente con gli esponenti del governo Karzai. Senza chiedere il permesso. Con il suo arresto, veniva affermata la centralità del Pakistan in ogni negoziato di pace. Ribadita anche con il suo rilascio, che per il ministro degli Esteri pachistano è avvenuto “per facilitare il processo di riconciliazione afghana”. Le autorità afghane hanno accolto con favore la novità, sottolineando comunque le questioni irrisolte: per i pachistani, mullah Baradar è un uomo libero, ma dovrà rimanere in territorio pachistano. Per il governo afghano, deve tornare in Afghanistan. Nelle prossime settimane si assisterà a una complicata partita diplomatica sull’“uso”da fare della pedina-Baradar nella partita negoziale. Ma non è detto che gli sforzi producano veri risultati, senz’altro non nel breve periodo. C’è infatti chi ricorda l’eterogeneità dei gruppi della galassia talebana e la spaccatura tra la vecchia guardia, incline al compromesso, e la nuova guardia, più intransigente e jihadista: anche se Baradar e la vecchia guardia dovessero scegliere la via del dialogo per poi abbandonare le armi, non tutti i comandanti sul terreno sarebbero disposti ad accettarne le decisioni. La partita afghana è ancora lunga, sia sul tavolo diplomatico, sia sul campo di battaglia.