Il ministro della giustizia William Barr ha annunciato, rompendo una regola non scritta, di voler riprendere le esecuzioni capitali di persone condannate da tribunali federali, prassi abbandonata da 16 anni. Barr ha adottato un nuovo protocollo di iniezione letale e ha già in programma, in una prigione federale dell’Indiana, cinque esecuzioni tra il 9 dicembre e il 15 gennaio 2020.

Negli Usa la pena di morte non è in vigore in tutti gli Stati e il provvedimento di Barr è in contrasto con le decisioni di quelli che l’hanno dichiarata illegale o che hanno varato delle moratorie, ma accontenta il desiderio di Trump di vedere applicare pene severe per i crimini violenti, in particolare per i serial killer e i trafficanti di droga.

«Il Dipartimento di Giustizia sostiene lo stato di diritto – ha affermato Barr nella sua dichiarazione ufficiale – e lo dobbiamo alle vittime e alle loro famiglie per portare avanti la sentenza imposta dal nostro sistema giudiziario».

Il dibattito sulla pena capitale è di lunga data. Chi vi oppone indica le disparità razziali dei detenuti nel braccio della morte, i costi finanziari e le convinzioni errate che possono portare a uccidere innocenti: negli ultimi anni, grazie anche al ricambio generazionale, per la prima volta si sta assistendo a un aumento dei contrari alla pena di morte, non più così popolare.

Questa mossa di Barr, sicuramente in programma da tempo, arriva il giorno dopo una brutta botta per l’amministrazione Trump che ha dovuto ascoltare il procuratore speciale Robert Mueller affermare sotto giuramento che per i reati di collusione e ostruzione della giustizia il tycoon potrebbe essere condannato allo scadere del mandato e che il Russiagate è una realtà e non una caccia alle streghe. La decisione sembra utile agli unici di cui il presidente si può fidare, vale a dire la sua base più coriacea, favorevole a qualsiasi pugno di ferro possibile.

Barr ha annunciato di aver già chiesto all’Ufficio delle carceri di stabilire il protocollo da seguire e di star indirizzando il governo federale a utilizzarne uno simile a quello basato sulle iniezioni letali e che è oggetto di revisione da diversi anni.

E qua potrebbe nascere il problema. «Dire che si sta per adottare un protocollo non equivale ad avere un protocollo adottato attraverso le procedure amministrative richieste – ha dichiarato Robert Dunham, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center, un gruppo non apertamente contro la pena capitale ma che critica il modo in cui è amministrata – Non puoi semplicemente dirlo e farlo accadere. Esiste un processo legale per l’entrata in vigore di un protocollo ed esiste anche un processo legale per contestare il protocollo».

Dunham prevede che quando il protocollo verrà formalmente proposto ci saranno diversi ricorsi e che queste esecuzioni difficilmente verranno portate a termine nel periodo indicato dal ministro di giustizia. Già nel distretto di Columbia c’è una causa in corso che coinvolge il processo di iniezione letale federale e sorgeranno inevitabilmente una serie di domande su come il governo federale otterrà il farmaco da usare.