Alle fermate delle metropolitane i bar sono stati i primi a tirar su le saracinesche. Non del tutto, perché ufficialmente sono ancora chiusi ai clienti, ma da ieri possono fare servizio d’asporto. E per un bar significa fondamentalmente brioche e caffè.

«È qualcosa di poco più che simbolico, non guadagniamo nulla a portar fuori qualche caffè, qualche brioche, qualche spremuta, ma almeno parliamo con i clienti» dice un barista non lontano dalla stazione Centrale. Due signori anziani si avvicinano per salutarlo, hanno la mascherina sul volto ma si riconoscono. Gente della zona che torna a vedersi due mesi dopo: «passiamo anche domani, tanto siamo qui».

Milano è ripartita a due velocità: quella del lavoro ancora quasi in lockdown e quella della vita comune tornata a popolare strade, marciapiedi e parchi. La città che in questi due mesi ha lavorato da casa ha continuato a lavorare invisibile nelle proprie stanze trasformate in ufficio anche in questo primo giorno della cosiddetta fase 2.

Per chi se lo può permettere, e a Milano sono in tanti, il lavoro da casa è proseguito come nella fase 1. Le vetrate degli uffici di una grossa compagnia assicurativa che affacciano sulla stazione Garibaldi a metà giornata erano ancora tutte buie, luci spente, nessun impiegato alla scrivania. La giornata, e in particolare la temuta fascia di punta tra le 7 e le 9 del mattino, è passata senza intoppi.

Qualche coda in stazione Centrale per il controllo biglietti dei Frecciarossa, con il primo treno per Napoli e i suoi 129 passeggeri diventati il simbolo mediatico di un esodo verso il sud che non c’è stato. Non significa che nessuno ha lasciato Milano per tornare a casa, sono state segnalate anche partenze via autobus, 200 persone da diverse città del nord, ma chi si aspettava l’esercito dei trolley è rimasto deluso.

Entrare e uscire da Centrale ora è un labirinto, i flussi sono stati ridisegnati. Gli unici assembramenti nell’ora di punta sono stati quelli di chi, smarrito, chiedeva indicazioni per raggiungere i treni ai volontari della Protezione Civile o ai Carabinieri. Il temuto affollamento sui regionali usati dai pendolari non c’è stato. Secondo Trenord, che gestisce il trasporto ferroviario lombardo, tra le 7 e le 9 ha viaggiato il 30% dell’utenza media dell’epoca pre Covid.

«Ma hanno fatto i furbi perché molte corse in orario non di punta sono state cancellate» raccontano i pendolari. Trenord ha garantito complessivamente sulla giornata il 54% delle corse, mantenendo soprattutto quelle nelle fasce di massimo afflusso. Un calcolo fatto sulla stima regionale di un ritorno al lavoro del 45% dei lavoratori lombardi: 900 mila persone.

La maggior parte di queste però non è passata da Milano, ma è finita nelle fabbriche e nelle aziende sparse per la regione. I pendolari arrivati alle stazioni di Cadorna e Garibaldi raccontano che in alcuni convogli mancava il segnaposto, fondamentale per garantire il distanziamento fisico tra le persone. In molte stazioni assente anche la segnaletica a terra. «Qualche nostro collega ha scelto l’auto per comodità o paura del contagio».

Milano si era abituata a vederle parcheggiate e impolverate le auto, un po’ dimenticate. Sono tornate a muoversi anche loro, si sono viste e sentite fin dalle prime ore del mattino, clacson e insulti compresi.

In questi primi giorni di fase 2 potranno circolare anche nelle corsie preferenziali e parcheggiare liberamente ovunque, una decisione criticata da chi si batte per una mobilità sostenibile. Il traffico è stato più intenso dei giorni scorsi, ma nulla a che vedere con una qualsiasi giornata milanese pre Covid.

Con meno auto in giro si sono viste più biciclette. Presto per dire se ci sarà lo sperato aumento della mobilità dolce, il sindaco Sala e l’assessore ai trasporti Granelli hanno promesso nuove piste ciclabili, alcune già in lavorazione. «Bisogna stare attenti alla velocità delle auto, con meno traffico corrono di più» dice un ciclista.

Anche in metropolitana non ci sono stati grossi problemi. Atm ha garantito il 100% del servizio, segnaposto su tutte le carrozze e segnaletica a terra nelle principali stazioni. Per sovraffollamento -che con le nuove regole significa 60 persone contemporaneamente sulla banchina- sono stati chiusi per alcuni minuti i tornelli delle stazioni di interscambio di Affori, Comasina, Sesto San Giovanni, Gessate e porta Genova.

Anche su alcuni mezzi di superficie sono stati segnalati momenti in cui è stato complicato garantire il metro di distanza, ma generalmente non ci sono stati grossi problemi. Più vivace il ripopolamento delle strade. In tanti sono usciti di casa, sempre con la mascherina al volto, riducendo quel distanziamento sociale da isolamento domestico ma mantenendo quello fisico di un metro. Parchi, parchetti e giardini si sono ripopolati, anche i marciapiedi dove spiccavano le code fuori da banche, Caf e centri per gli stranieri.

«Sono qui per gli aiuti economici» dice un signore in coda fuori da un Caf. È un pezzo di quella città che si sta impoverendo. Tra gli assenti della fase 2 ci sono anche i lavoratori delle fiere, degli eventi, della cultura, dell’arte, del turismo che hanno perso lavoro e reddito e che attendono la ripresa di questi settori. Tempi che dipendono dalla gestione sanitaria della pandemia che, per assenza di una strategia vera su tamponi, tracciamento e assistenza domiciliare, assomiglia tanto alla fase 1.

Il suono delle sirene delle ambulanze, anche se meno forte di un mese fa, ci ricorda che il virus è ancora lì. Governo e Regione farebbero bene ad attuare delle politiche sanitarie vere affinché la fase 2 non sia solo un appello continuo alla prudenza e al buonsenso dei cittadini senza nulla attorno.