La mattina nel Def 2014 del governo Renzi spuntano un miliardo e trecento milioni di euro per rifinanziare la Stretto di Messina Spa, società statale che da trent’anni e più porta avanti il miraggio dell’attraversamento stabile tra Messina e Reggio Calabria (meglio, tra le frazioni periferiche di Faro e Cannitello) e posta in liquidazione dal governo di Mario Monti nel 2012. A mezzogiorno arriva l’interrogazione di Sel per capire perché un’opera che si considerava morta e sepolta, torna invece tra le pieghe del documento di programmazione finanziaria. In serata, la smentita firmata Maurizio Lupi, ministro alle Infrastrutture: «Niente rifinanziamento». L’inghippo? «Un’errata lettura di una tabella dell’Allegato Infrastrutture del Def». Si tratta – spiega il Ministero – della tabella Revoche e reimpieghi. Il termine reimpieghi indica non lo stanziamento di risorse a un’opera, ma l’indicazione storica di risorse revocate e non utilizzate né utilizzabili». Pericolo scampato, quindi? Secondo Lupi sì, si è trattato di un «misunderstanding», i soldi non ci sono né ci saranno più.

Secondo Sel e ambientalisti, invece, c’è da stare con gli occhi aperti. Perché un’opera ritenuta non strategica dal governo né economicamente sostenibile dai mercati privati (sui quali dovrebbero essere reperiti gli otto miliardi di euro necessari a completare la dotazione finanziaria dell’opera) rispunta alla chetichella? «Non si capisce a quale titolo compaia nell’aggiornamento al Def oltre un miliardo di euro destinato al Ponte sullo stretto di Messina», ha commentato Stefano Lenzi, responsabile relazioni istituzionali del Wwf Italia.

Una delle ragioni potrebbe essere lo spettro, agitato un mese e mezzo fa, degli oltre seicento milioni di euro di penali da pagare al general contractor Eurolink in caso di inadempienza da parte della Stretto di Messina. «Non è così: noi sappiamo che alla luce dei rapporti contrattuali tra Società Stretto di Messina e il General contractor non esiste alcuna penale da pagare», spiega Lenzi. Perché? Il Wwf ricorda la lettera inviata al premier insieme alle altre Associazioni Fai, Legambiente, Italia nostra e Man, il 3 ottobre scorso in cui si richiamava che «nel contratto 2006 e nell’atto aggiuntivo del 2009 non c’è alcun meccanismo che faccia scattare le penali nell’assenza di un progetto definitivo che sia completo delle integrazioni richieste a conclusione della procedura di Valutazione di impatto ambientale e di una decisione del Cipe». Non solo.

Nel 2005, lo stesso Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina spa, rassicurava che «Stretto di Messina può esercitare recesso senza dover pagare alcuna penale». Non dovesse bastare la parola dell’amministratore delegato della Stretto, ci sono comunque le oltre diecimila pagine del contratto stipulato tra Stretto Spa ed Eurolink. Le cui clausole sono state comunque rinegoziate nel 2009 a favore di Eurolink, prevedendo che a seguito dell’approvazione del progetto definitivo da parte del Cipe, la mancata approvazione del progetto esecutivo da parte di Stretto di Messina spa o il mancato avvio dei cantieri obblighino a riconoscere ad Eurolink non solo il pagamento delle prestazioni rese e delle spese (incluse quelle precedenti alla stipula dell’atto), ma anche di quelle da sostenere per la smobilitazione delle attività. Non solo. Nel nuovo accordo, spunta anche un nuovo indennizzo «per la perdita del contratto nella misura del 5 per cento dell’importo risultante dal progetto definitivo diminuito di un quinto». Posto che il Cipe il progetto definitivo non lo ha ancora approvato, su cosa si potrebbe basare quindi una eventuale richiesta di penale? Su poco.