La Slovenia ha proclamato l’emergenza da Coronavirus: nessun sanitario può lasciare il Paese, chiuse scuole e Università, congedi parentali all’80% dello stipendio per chi ha figli minori di 10 anni, trasporti pubblici ridotti, divieto di assembramento, sospese tutte le manifestazioni pubbliche.

IL TRAFFICO FERROVIARIO tra Italia e Slovenia è interrotto e da un paio di giorni sono stati chiusi anche i valichi confinari: tra Friuli-Venezia Giulia e Slovenia ne restano aperti soltanto 6, presidiati dalla polizia e da equipe mediche. Tutti gli altri sono stati chiusi con blocchi di cemento, transenne o addirittura semplici massi: erano più di cinquanta, incontrollati e liberi, fino a ieri.

Grossi problemi per il traffico merci: possono entrare soltanto i trasporti ritenuti essenziali, i Tir sloveni o quelli che devono scaricare in Slovenia in Croazia o in Ungheria, con la conseguenza che già centinaia di camionisti sono ammassati con i loro mezzi sia al valico di Gorizia che nel grande piazzale dell’autoporto vicino a Trieste ma anche nelle strade intorno o nei parcheggi dei grandi centri commerciali chiusi. Il Presidente del Friuli Venezia Giulia, il leghista Massimiliano Fedriga, ha usato toni pesantissimi chiedendo la riapertura immediata del traffico merci altrimenti «potrebbero danneggiarsi irrimediabilmente i rapporti tra Italia, con il Friuli Venezia Giulia in testa, e Slovenia». Parole che hanno creato non poche perplessità visto che sono anni che proprio Fedriga dichiara di voler chiudere i confini (ma quello è il leitmotiv contro i migranti). Parole che comunque sembrano non individuare bene l’interlocutore visto che dappertutto in Slovenia, da giorni, sono ferme colonne di Tir perché a chiudere i confini sono state l’Ungheria, (dentro Schengen), e la Croazia.

STORIA TRAVAGLIATA e dolorosa quella dei confini in queste zone. Alla fine della Seconda guerra mondiale passare da uno Stato all’altro era praticamente impossibile: era il confine della cortina di ferro, di qua l’occidente democratico, di là il comunismo titino. Il confine, nel 1947, era stato tracciato sulla carta creando non poche situazioni monstre soprattutto nel goriziano. Gorizia era stata lacerata, separata dalla maggior parte della sua regione complementare e, persino, da una consistente porzione della sua periferia dove sarebbe cresciuta la nuova realtà urbana jugoslava di Nova Gorica. In certi tratti la linea di confine scorreva in mezzo ai rioni, attraversava i giardini, tagliava a metà le cose e le case. Tremendo l’esempio del paese di Merna, con il cimitero diviso in due, i funerali svolti alla presenza di soldati armati e le bare sospinte da uno Stato all’altro perché anche i parenti «dell’altra parte» potessero porgere un saluto visto che le nuove nazionalità avevano diviso anche le famiglie.

A GORIZIA, la grande piazza della Transalpina con la sua bella stazione ferroviaria inaugurata da Francesco Ferdinando d’Asburgo nel 1906, quando i sudditi dell’impero giravano mezza Europa senza passaporto, era stata tagliata a metà da un muro di calcestruzzo: da un lato Gorizia italiana, dall’altro Nova Gorica jugoslava. Poteva varcare il confine soltanto chi abitava in un raggio di cento metri oppure i proprietari che si trovavano con i propri terreni divisi tra uno Stato e l’altro. Nel 1955 i primi accenni di pacificazione: più di 50 piccoli valichi aperti e la popolazione residente nel raggio di dieci chilometri dotata di lasciapassare. Poi ci fu il trattato di Osimo nel 1975 e poi la dissoluzione della Jugoslavia con la nascita della nuova Repubblica slovena e, finalmente, Schengen che vide, nel dicembre del 2007, l’ingresso nello spazio europeo comune della Slovenia.

Le sbarre di confine si erano alzate in una serata di grande commozione: nella grande Piazza della Transalpina si era fatto festa per tutta la notte, cantando e brindando, italiani e sloveni. In verità, già il 12 febbraio 2004 i sindaci di Gorizia Vittorio Brancati e quello di Nova Gorica Mirko Brulc avevano demolito la barriera che da 57 anni divideva in due la piazza: una anticipazione su Schengen che aveva fatto diventare quella piazza condivisa il simbolo della caduta dei confini.

DA MERCOLEDÌ SCORSO Piazza della Transalpina è di nuovo tagliata a metà da una rete metallica che passa esattamente sopra le piastrelle messe in memoria del vecchio confine. Amareggiato ma favorevole all’iniziativa il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna, furioso con qualche suo concittadino che, nonostante i divieti, salta le transenne e si reca nella parte slovena per bere qualcosa nel bar della stazione: «Sono goriziani assolutamente idioti – ha dichiarato un paio di giorni fa – se si vogliono fare del male che se lo facciano, ma purtroppo così facendo fanno del male anche agli altri. Ho allertato carabinieri, questura, polizia locale e ho chiamato anche l’amico sindaco Klemen Miklavi di Nova Gorica».

Muri, dunque, se la coscienza individuale non basta, ma quella grata nel mezzo della Piazza fa tristemente pensare che quello che nessuno in queste terre avrebbe più voluto vedere si è rimaterializzato per colpa di un virus bastardo che ha annullato in un colpo anni di battaglie fatte proprio per cancellare tutti i confini.