Costretto a rispondere giorno per giorno all’offensiva mediatica dell’alleato leghista, il Movimento 5 Stelle tira fuori un grande classico del suo repertorio, che risale ai tempi del berlusconismo e alla critica alle sinistre spuntate e tacciate di «inciucio»: la legge sul conflitto di interessi. L’annuncia Luigi Di Maio nei giorni in cui la Lega deve rendere conto dei suoi rapporti con l’imprenditore Paolo Arata.

«Gli sviluppi dell’inchiesta sul sottosegretario leghista Armando Siri hanno accelerato i tempi di una nuova legge sul tema», dicono le voci che arrivano dall’entourage grillino. Nelle intenzioni del capo politico pentastellato, la proposta dovrebbe mettere in crisi sia la Lega che il Pd. Il testo verrà affidato all’iniziativa parlamentare, dunque non coinvolgerà formalmente la maggioranza. Di più: servirà a porre una questione identitaria ma al tempo stesso costituirà un’anomalia in questo scorcio di legislatura che ha visto il governo o i vertici di maggioranza protagonisti assoluti quanto a proposte legislative, a scapito del parlamento.

IL M5S IN QUESTI giorni sta sperimentando le difficoltà di tenere a bada la Lega di Salvini sulla base del semplice contratto di governo. Ma in questo caso ha un punto a favore, perché nel documento fondativo dell’alleanza gialloverde, in effetti, si fa menzione di una legge sul conflitto di interessi articolata in tre punti: «Estensione del conflitto di interessi oltre il mero interesse economico, estensione a chi esercita la funzione pubblica, estensione per chi svolge incarichi non governativi ma che hanno capacità di influenza (sindaci grandi città oppure dirigenti di società partecipate dello Stato)».

Il M5S d’opposizione, nella scorsa legislatura, aveva presentato una sua proposta, primo firmatario il futuro ministro dei rapporti col parlamento Riccardo Fraccaro. Il testo prevedeva che le cariche di governo fossero incompatibili con la proprietà, il possesso o la disponibilità, anche all’estero, di un patrimonio di valore superiore a 10 milioni di euro o con il possesso di partecipazioni superiori al 2% di aziende che svolgono la propria attività in regime di autorizzazione o concessione pubbliche.

Se questo fosse l’impianto di base, bisogna considerare che il M5S potrebbe recuperare un altro dei suoi tormentoni: i vincoli agli «editori impuri», imprenditori che accompagnano investimenti nell’informazione a interessi di altro genere. L’intento appare paradossale, nel momento in cui il M5S sta facendo di tutto per colpire le poche testate cooperative che non hanno vincoli aziendali e conflitti d’interesse. Tuttavia, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato nel novembre scorso di voler lavorare ad una legge. Qualche giorno fa avrebbe incontrato a questo scopo e il presidente della commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia, anch’egli grillino. Forse neanche lui sospettava che le cronache giudiziarie e il picco di tensione con la Lega avrebbero imposto un’accelerazione al tema.

DAL PD, che i grillini sfidano a votare la legge che non avrebbero avuto il coraggio di varare quando c’era da mettere fuori gioco Silvio Berlusconi, dicono di non volersi sottrarre. Ma rilanciano affermando: «Il nuovo testo dovrebbe tenere conto anche del contesto digitale». Tradotto: anche gli interessi di Davide Casaleggio potrebbero essere considerati in conflitto con il perseguimento del bene comune.

La notazione polemica arriva proprio mentre tra gli eletti grillini trapela malcontento per l’ennesima richiesta di emolumenti: servono quattrini per sostenere la campagna elettorale per le elezioni europee di maggio e a deputati e senatori viene chiesta una sottoscrizione speciale. I mugugni riguardano i bilanci dei gruppi, visto che lo statuto del M5S alla Camera prevede che la metà delle spese totali (che per il 2018 ammontano a circa 4 milioni di euro) sia destinata alla comunicazione. «Perché non investiamo più risorse per ampliare l’ufficio legislativo?», chiedono polemicamente alcuni parlamentari. Il prelievo forzoso rivolto agli oltre trecento eletti riguarda almeno duemila euro a persona. Sarà destinato al Comitato per le elezioni europee, guidato da Pietro Dettori ed Enrica Sabatini, tra i pochissimi soci dell’Associazione Rousseau insieme a Casaleggio.