Onimusha quest’anno è diventato maggiorenne: ben 18 anni che, in termini videoludici, vuol dire essere davvero un vecchietto. Chi se l’aspettava d’altronde che un titolo nato come nuovo capitolo di Resident Evil e poi convertito in un altro brand, avrebbe avuto un ruolo regio tra i marchi più importanti della storia del videogame? 18 anni abbiamo detto e ben tre seguiti, Onimusha 2: Samurai’s Destiny (2002), Onimusha 3: Demon Siege (2004) e Onimusha: Dawn of Dreams (2006), non approdando mai però sulla PS3 neppure in una collection HD come il fratello Devil May Cry. In molti non se lo ricordano ma, ad un certo punto della sua esistenza, la saga era così richiesta da costringere Capcom a buttare su mercato anche un segmento spurio per PS2, come fece con lo «sgarruppato» Resident Evil Outbreak, ovvero Onimusha Blade Warriors, una sorta di Super Smash Bros all’arma bianca, dimenticabilissimo e poco divertente.

Stesso discorso per il disastroso, sempre del 2003, Onimusha Tactics per Gameboy Advance (e riproposto nel 2015 anche per WII U) con personaggi pucciosi e una trama troppo infantile per piacere ai fan. Dopo anni però, ben 13 dal quarto capitolo, la saga torna, nel suo primo episodio, Onimusha: Warlords, in una veste tirata a lucido, una remastered non perfetta è vero, ma necessaria per essere fruita in questa generazione nuova di console ad alta definizione. Merito di questa rinascita lo si deve soprattutto al successo di un vecchio brand come Resident evil che, nella sua settima, fortunata reincarnazione, ha permesso a Capcom di alzare di nuovo la testa e poter innestare il virus dell’immortalità ai suoi marchi più noti, gli zombi di Racoon city in un remake fantastico, Devil may cry in un quinto capitolo e il nostro Onimusha in un restauro sfavillante.

Ma quanto può essere migliorato un gioco che fece il suo debutto nel 2001? Non molto, ma è questa la sua forza perché un titolo come Onimusha è un evergreen, lo si può giocare benissimo, strizzando gli occhi si intende, anche su una vecchia PS2 senza peraltro pensare di essere vecchi o di stare facendo del gaming vintage.
Onimusha era un bellissimo gioco 18 anni fa con i suoi fondali prerenderizzati, le inquadrature fisse, con i suoi toni horror accesi e i combattimenti selvaggi, con una storia scritta come un samurai movie alla Shogun il giustiziere con Tomisaburo Wakayama che, alla fine, non ti esaltava solo ma ti commuoveva persino. Nella versione 2019 cambia solo l’impatto con la grafica e un sistema di comandi rinnovato che ti permette di non sbattere contro il muro mentre ti muovi, ma per il resto, sistema di trofei a parte, è il vecchio e bellissimo Onimusha: Warlords nudo e crudo.

La storia ruota intorno al samurai Samanosuke, che ha le fattezze e la voce dell’attore Takeshi Kaneshiro, intento a risollevare le sorti del suo clan a seguito della dipartita del condottiero Nobunaga. A complicare le cose, la principessa Yuki, con la quale probabilmente condivide un rapporto che va ben oltre la semplice amicizia, è stata rapita e sta a lui proprio il compito di liberarla. Il gioco è brevissimo, la campagna si aggira sulle quattro ore, ma a farla da padrone sono soprattutto le suggestive ambientazioni: si passa da un’intera fortezza con i suoi claustrofobici sotterranei fino a raggiungere il cupissimo mondo dei demoni. Si aggiunga a questo, un sistema di combattimento avanti nel tempo, con un grado di difficoltà e padronanza dei comandi che potrebbe essere alla base del Sekiro uscito recentemente per Ps4 e con il quale condivide alcune intuizioni narrative.
Onimusha non è il capitolo migliore della serie, il secondo resta il più bilanciato tra azione ed esplorazione, ma è senza dubbio un buon titolo che, tirato a lucido, fa sentire davvero poco il tempo passato. Con i suoi 18 anni da maggiorenne Samanosuke debutta in un mondo che di samurai, ronin e e demoni se n’era dimenticato, un mondo per questo «imperfetto» ma che ora può colmare il vuoto dell’assenza del grande Onimusha.