Le dichiarazioni rilasciate da Anthony Trollope nella sua [/V_INIZIO]Autobiografia sul romanzo Il Primo Ministro, che vide la luce nel 1876 durante la fase conclusiva della carriera dello scrittore, possono suonare come un tentativo di depistaggio. In qualità di penultimo tassello del «ciclo dei Palliser», Il Primo Ministro si impegna a riportare alla ribalta Plantagenet Palliser, Duca di Omnium, che in questa occasione viene chiamato a sfoderare la sua tempra di «statista ideale» e «perfetto gentiluomo» per mettersi alla guida di un passeggero governo di coalizione, anche grazie all’appoggio della moglie Lady Glencora. Tuttavia, nonostante Trollope esaltasse il Duca e la sua consorte come «il lavoro migliore» della sua vita, basta leggere pochi capitoli della prima traduzione italiana del Primo ministro (a cura di Rossella Cazzullo, Sellerio, pp. 1128, euro 25,50) per accorgersi che il motore dell’azione non risiede nelle manovre governative dei beniamini del romanziere.

 
Elogiata anche da Tolstoj come «splendido» esempio del «mestiere» di Trollope, la vicenda del Primo ministro si articola in effetti sulla base di un doppio intreccio: da una parte, sulla scena politica, si susseguono gli scambi di favori, le alleanze e i sontuosi ricevimenti allestiti da Lady Glencora a sostegno del marito; dall’altra, prende invece quota l’avventura matrimoniale che si innesca quando Emily, figlia del facoltoso avvocato Wharton, si invaghisce di Ferdinand Lopez, un affarista di oscura provenienza. È vero che le due trame, dopo aver proceduto di pari passo, arrivano a mettere in contatto i rappresentanti dell’una e dell’altra sfera sul comune terreno della high society londinese; ma è vero anche che i colpi di scena deflagrano tutti sul palcoscenico delle vicissitudini pre e post-matrimoniali determinate dal comportamento dell’ambiguo spasimante di Emily.
«Io sono un realista», aveva proclamato Trollope nell’Autobiografia, per specificare che i suoi lavori, ostili alle spettacolari trovate dei romanzi «sensazionalisti», puntavano più che altro a mettere in luce l’intimità delle «creature» di finzione. Eppure le attrattive del Primo ministro sembrano sprigionarsi solo dalla fitta nube di mistero che si viene a addensare attorno ai traffici di Ferdinand Lopez, al suo albero genealogico, alle sue rendite e ai suoi effettivi sentimenti per Emily. A poco valgono le investigazioni, i divieti e il contrattacco del «clan» dei Wharton, propensi a sostenere il corteggiamento di Arthur, rampollo della prestigiosa famiglia Fletcher: con un clamoroso salto nel buio, Emily si lascia condurre all’altare da Lopez, un individuo «non inglese» e semisconosciuto, che grazie a un paio di apparizioni nella City e ai banchetti di Lady Glencora è riuscito a seppellire il proprio passato sotto una coltre di silenzio impenetrabile, tanto da rientrare nella cerchia dei protetti della First Lady. E se la «devozione» di Emily verso il suo pretendente finisce per rasentare, anche agli occhi dei lettori, la cieca «cocciutaggine» di cui la accusa il padre, altrettanto sorprendente è l’atteggiamento del narratore, pronto a circondare Lopez con un mutismo rigoroso e ben distante dal fascio di commenti e intrusioni riservati alle «creature» di questo e di altri romanzi.
Proviamo a riaprire La vita oggi, il capolavoro che Trollope pubblicò con appena un anno di anticipo sul Primo ministro: in questo caso i personaggi si muovono nel teatro del jet-set londinese in assoluta trasparenza, illuminati dai riflettori di una regia narrativa che ricapitola il passato degli attori appena entrano in scena, rivela i pensieri formulati nel loro intimo durante i momenti di solitudine e si impegna a seguire le loro mosse persino dietro le quinte, chiarendo moventi e segreti di ogni possibile intrigo. Niente di tutto questo accade invece quando tra gli scenari del Primo ministro si fa strada il sospetto utilitarismo di Ferdinand Lopez: devono trascorrere diverse centinaia di pagine perché l’affarista venga smascherato da tutti nella sua assoluta penuria di mezzi finanziari, senza che tuttavia il narratore si decida a fornirci il quadro complessivo delle sue intenzioni. Gli sforzi del romanziere sembrano invece determinati a mantenerci in uno stato di costante incertezza sugli intenti di un «farabutto squattrinato», che dopo essersi rovinato per sempre con le sue smodate richieste di denaro, apre uno spiraglio sulla propria coscienza inquieta solo nella seconda parte del romanzo, al momento di togliersi la vita sotto un convoglio del raccordo ferroviario di Tenway.
Viene allora il sospetto che Trollope abbia utilizzato il primo intrigo, con le sue «sensazionalistiche» zone d’ombra, come una sorta di esca capace di trascinarci a contatto coi problemi che, in parallelo, assillano il matrimonio del Primo ministro.
Nella catastrofe che travolge Emily e Ferdinand i lettori possono infatti scorgere tanto un diversivo agli insipidi compromessi del governo del Duca, quanto un oroscopo raccapricciante della possibile tragedia che si profila sul destino del Premier e della First Lady. Entrambe le coppie, tormentate dal demone dell’ambizione, entrano non a caso in crisi per colpa della «parola» fuori posto con cui sia Lopez che il Duca accusano le rispettive consorti di «volgarità» e inadeguatezza nella corsa al potere, spingendole a mettere in discussione la levatura e i fondamenti della loro unione matrimoniale. Ma mentre Ferdinand preferisce disintegrare le ambizioni frustrate sotto un treno che lo riduce a una miriade di «atomi insanguinati», Plantagenet, una volta compromessa la tenuta del governo, sa far leva sulla propria solidità di gentiluomo per scongiurare il dramma e riportare il suo matrimonio nei ranghi della tranquillità.
Più che con la parabola dello «statista ideale» tanto amato da Trollope, il Primo ministro sembra dunque coincidere su tutti i piani con la storia di un’intrusione. Lopez non rappresenta soltanto lo straniero che riesce a intrufolarsi fra i rigidi cerimoniali dei clan d’alta società vittoriana, per poi soccombere annientato dalla sua stessa noncuranza verso il codice dei gentlemen. Col suo eclatante destino e i suoi enigmi insoluti, Lopez si spinge a forzare anche la mano e i sistemi dello scrittore, che per una volta, in deroga al suo «realismo», sembra incapace di rinunciare agli effetti sprigionati dalla condotta di un personaggio «sensazionalistico». Ne è la riprova il fatto che il romanzo non si conclude nel momento in cui va in pezzi il governo del Duca, ma solo quando Emily, accettando di risposarsi con Arthur, abbandona assieme alla sua «cocciutaggine» anche il lutto causato dal suicidio del primo marito.
Forse il Duca di Omnium e la sua consorte godrebbero di maggiore apprezzamento se arrivassimo a loro attraverso la strada suggerita da Trollope, che nell’Autobiografia, mentre si raccomandava di considerare i suoi prediletti come protagonisti della più vasta «tela» del Ciclo Palliser, si domandava: «Chi leggerà mai consecutivamente Con you forgive Her?, Phineas Finn, Phineas Redux e The Prime Minister, in modo da poter comprendere a pieno i personaggi di Plantagenet Palliser e Lady Glencora? E chi saprà mai persino che si dovrebbero leggere in tale ordine?» A chi aspettasse la traduzione italiana degli altri romanzi del ciclo menzionati da Trollope, non resta che augurarsi di aver compreso almeno una parte delle dinamiche del grande affresco, anche se l’ha osservato dall’angolazione meno appropriata.