Il Maria Adelaide sia restituito al Servizio sanitario nazionale come Casa e Ospedale di Comunità. Lo chiedono tanti cittadini torinesi riuniti in assemblea permanente da mesi. Una proposta in linea con le esigenze del quartiere Aurora, povero di servizi e con una non trascurabile concentrazione di disagio sociale, e con quello che prevede il Pnrr, ovvero l’utilizzo dei finanziamenti europei proprio per situazioni di questo tipo. I cittadini non vogliono che l’ospedale, chiuso nel 2016, diventi uno studentato da 400 posti letto per le Universiadi del 2025, come invece vorrebbero il Comune, la Regione e l’Università.

E, ieri, seppur oscurati mediaticamente dai No vax, sono scesi ancora una volta in piazza – il primo luglio lo avevano fatto davanti all’assessorato regionale alla Sanità dove avevano anche subito le manganellate dalle forze dell’ordine – in occasione della visita del generale Figliuolo al centro vaccinale Lavazza di Torino, per comunicargli la necessità di riaprire il sito, grazie a un progetto sostenuto e validato anche da Anaao, il sindacato dei medici, e dall’Ordine dei medici.

«PURTROPPO LA PANDEMIA non ha invertito le politiche sanitarie – racconta Mariangela Rosolen, voce autorevole dell’assemblea, già parlamentare del Pci, attivista dell’acqua pubblica e animatrice del nodo torinese di Attac – il Next generation Piemonte, una sorta di Pnrr, dal valore complessivo di 27 miliardi di euro, destinerebbe solo 160 milioni di euro all’assistenza sanitaria. Si cerca ancora una volta di avvantaggiare i privati. In questa area di 90 mila abitanti, tra Aurora, Rossini e Vanchiglietta, c’erano quattro ospedali, due pubblici e due privati, i primi due sono stati chiusi e non sostituti da presidi sanitari pubblici, se escludiamo l’ex centro antitubercolare di Lungo Dora Savona».

Il comitato da cui ha preso vita l’assemblea «Riapriamo il Maria Adelaide» è nato la scorsa estate per iniziativa di Attac. Si sono poi uniti cittadini, il Laboratorio Manituana, che ha base nel quartiere, ed ex dipendenti dell’ospedale, chiuso cinque anni fa e nato a fine Ottocento. In quel periodo maturò una sensibilità crescente nel mondo scientifico verso l’ortopedia, specialità che più ha caratterizzato il sito, che solo nel 1995 aveva una capacità di 204 posti letto.

IL PROGETTO DI RIAPERTURA immagina una Casa della salute come un presidio territoriale con ambulatori e locali per la riabilitazione, in cui si realizzi la reale presa in carico socio-sanitaria del paziente. E inserisce negli stessi locali l’Ospedale di comunità, 15-20 posti letto, garantendo una multidisciplinarità delle cure. Potrebbe rappresentare una sperimentazione, tra le prime in Piemonte, di reale collaborazione tra medicina ospedaliera e medicina territoriale. E nonostante la sordità delle istituzioni torinesi e piemontesi, il progetto potrebbe essere finanziato con la quota torinese dei 2 miliardi di euro complessivi destinati dal Pnrr per le Case della Comunità e di 1 miliardo di euro per gli Ospedali di Comunità. Alla città di Torino spetterebbero ben 28 milioni di euro per 18 Case della Comunità, in grado di coprire le esigenze sanitarie primarie di prevenzione e cura. «La prima può essere il Maria Adelaide», dicono gli attivisti.

IL 15 LUGLIO SE N’È DISCUSSO finalmente in Comune nella riunione congiunta della seconda e della quarta commissione del consiglio comunale a seguito dell’interpellanza della consigliera d’opposizione Eleonora Artesio. Il consigliere comunale Damiano Carretto, fuoriuscito dai Cinque stelle e ora esponente di M4O, ha chiesto l’accesso, più volte rimandato, al dossier di candidatura per le Universiadi 2025, mai pubblicizzato prima. Una volta ottenuto è esplosa la polemica: «Per mesi ci ha detto che non c’era nulla da consultare, ma i progetti sono del novembre 2020», ha detto Carretto, chiedendo le dimissioni dell’assessore all’urbanistica Antonino Iaria, accusato di «aver preso in giro i cittadini».

Rincara, infine, la dose l’assemblea permanente: «Al netto di una spesa mostruosa di 31 milioni e 700mila euro per riconvertire un ospedale in un villaggio olimpico per soli quindici giorni, quanto spazio verrebbe dedicato alla sanità pubblica, come ha sostenuto in commissione l’assessore Iaria? Zero metri quadri. Il dossier specifica, infatti, che su 15 mila metri quadri solo 482 sarebbero destinati a un «policlinico-infermeria». Se vi sembra tanto, considerate che alla mensa/bar il progetto destina più di mille metri quadri. E dopo? E dopo niente. Perché a Universiadi finite, il Maria Adelaide diventerebbe uno studentato. Manterrebbe quei 482 metri quadri, ma per chi? Non per la cittadinanza, ma per gli studenti e le studentesse, esclusi da qualsiasi contatto con la città che non sia lo svago patinato dei localini».