Nubi di polvere si alzano al passaggio dei tram, lungo i viali alberati della città. Non cade una goccia d’acqua da tre mesi: il Po è in secca, e decine di comuni del torinese riforniscono gli abitanti grazie alle autobotti. Torino in questi giorni è la città più inquinata d’Italia e l’amministrazione comunale ha imposto draconiane misure contro il traffico privato. Ieri è giunto l’invito alla cittadinanza a non aprire le finestre e a limitare gli spostamenti in bicicletta o a piedi. Non solo: le corsette serali nei parchi cittadini, così come la ginnastica all’aria aperta sono da evitare. Il suggerimento dell’assessorato all’ambiente è tanto brutale quanto semplice: torinesi, restate a casa.

Non è una novità la crisi dell’aria a Torino. La vicinanza delle Alpi, che fungono da barriera alle correnti atlantiche, la persistenza del traffico veicolare privato e soprattutto le condizioni meteorologiche estreme, hanno portato ad una concentrazione di Pm 10 pari a 114 microgrammi per metro cubo, oltre il doppio consentito dalla legge. Da qui la decisione della giunta a cinque stelle di bloccare  dalle 8 alle 19, il traffico di tutte le auto private diesel Euro 4 compresi, ma sabato il divieto sarà con ogni probabilità esteso agli Euro 5.

Stessa situazione a Milano, dove la concentrazione di Pm10 risulta pari a quella torinese, così i commenti e divieti assomigliano molto alle scelte dalla giunta a cinque stelle. Il sindaco Sala ha parlato di «situazione molto grave e necessario cambiamento radicale nella politica del trasporto».

A Torino effettivamente il sole in questi giorni attraversa il cielo avvolto da un alone giallognolo, e la decisione della giunta è in linea con la volontà dei comitati ambientalisti che da tempo mettono all’indice il traffico privato. Ogni volta, a seguito delle polemiche per i «disagi», la città si interroga sul “che fare” di fronte ad un problema che mette a repentaglio la salute della comunità.

Il mantra risolutivo è sempre stato lo stesso, da anni: misure strutturali. E nel tempo ne sono state proposte di fattibili. La presenza di una sola linea metropolitana è insufficiente, e rende necessaria la costruzione di un secondo tracciato che formi almeno una croce sulla pianta cittadina. In anni remoti, l’attuale presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, ipotizzò perfino una terza linea, una sorta di tangenziale su rotaie e sotterranea.

Progetti, che sempre sono rimasti sulla carta. Così come il potenziamento del servizio pubblico, ovvero della Gtt che in questi giorni attraversa la peggiore crisi finanziaria della sua storia. Senza l’intervento del governo l’azienda che gestisce il trasporto pubblico potrebbe perfino chiudere: mancano circa cento milioni di euro per poter continuare a fornire il servizio. Da un documento della Regione Piemonte emergono alcuni dati sconfortanti: una riduzione complessiva della produzione pari a 1,4 milioni di chilometri (-1,5% rispetto agli attuali 42,5 milioni di km) frutto di una contrazione di 2,1 milioni di km su gomma (autobus) a fronte di un incremento di 700mila km di tram. Traduzione: si sta tentando di risparmiare sul trasporto pubblico su gomma perché costa troppo.

Si crea quindi una relazione tra le inesistenti risorse finanziarie disponibili, anche solo per far passare qualche autobus in più, e un inquinamento atmosferico sempre più pericoloso. La soluzione tampone è appunto bloccare il traffico sperando nella pioggia, magari con il riscaldamento abbassato.
Di fronte a questa condizione emergono tentazioni privatrizzatrici, come quella che prevede la costruzione della seconda linea metropolitana sfruttando lo strumento finanziario del project financing, notoriamente conosciuto dagli economisti come uno dei peggiori meccanismi estrattivi di valore ai danni delle comunità.
Mancano i soldi, e quelli che ci sono non sono nemmeno sufficienti per mandare avanti gli sgangherati mezzi pubblici. Oppure si può sperare che i torinesi sfruttino la rete ciclabile cittadina, per altro estesa e in buono stato. Oppure, semplicemente, tutti a casa.