Disastri organizzativi in nome del risparmio e privatizzazioni, il tutto in nome dell’austerità di bilancio.
La notizia di un eventuale avviso di garanzia per la sindaca Chiara Appendino, e per altri diciotto sconosciuti, è stata diffusa a mezzo stampa giovedì notte: procedura insolita, poco in linea con i principi dello stato di diritto. Gli avvisi si riferiscono alle indagini per la sciagura di piazza san Carlo dello scorso tre giugno in occasione della finale di Champions League. Come noto, nella calca scatenata da cause ancora ignote furono ferite oltre mille e cinquecento persone, e una donna di appena trentotto anni perse la vita: Erika Pioletti.

L’INCHIESTA GIUDIZIARIA – coordinata dal Procuratore di Torino Armando Spataro, e dai Pm Antonio Rinaudo e Vincenzo Pacileo – si è svolta per lunghi mesi nel silenzio. Un tempo durante il quale sono stati ascoltati centinaia di testimoni tra organizzatori, controllori e persone presenti nella piazza al momento del fuggi fuggi.
Nel caso in cui la sindaca fosse direttamente colpita dall’inchiesta giudiziaria, con ogni probabilità anche i vertici di Prefettura e Questura sarebbero coinvolti. Si tratterebbe quindi di un vero terremoto politico, che potrebbe azzerare la catena di potere locale.
Le prime indagini dimostrarono mancati controlli, scarso coordinamento, mancanza di personale sul campo, cioè in piazza. Seguirono due avvisi di garanzia per l’accusa di omicidio colposo e lesioni gravissime: al presidente e al il direttore di Turismo Torino, l’ente organizzatore della serata, Maurizio Montagnese e Danilo Bessone. Insieme all’evidente superficialità organizzativa, nei giorni successivi alla tragedia emerse la necessità di organizzare un festa popolare, ma senza risorse adeguate: ad esempio in piazza erano assenti gli steward, ovvero non era rispettata una delle prescrizioni della commissione di vigilanza. Oppure si pensi all’assenza di una adeguata polizza assicurativa.

SOLO POCHI MESI FA Piero Fassino, nel rivendicare la bontà del suo governo torinese, disse: «Ho lasciato una città con il pilota automatico». Nulla di più vero se si guarda all’ultima mossa della giunta penta stellata sabauda: la vendita, insieme al Comune di Genova, di un pacchetto azionario pari al 5,5% del patrimonio azionario complessivo di Iren, la multiutiliy che da tempo opera nel settore dei servizi energetici un tempo pubblici.
Il Comitato torinese di Attac nei giorni scorsi ha duramente attaccato la scelta: «La vendita prevista  delle azioni Iren frutterà nella migliore delle ipotesi circa 27 milioni e non i 70 inizialmente sperati; solo una   goccia nel mare di oltre 3 miliardi di debiti del Comune, utile solo a rinviare all’anno prossimo scelte ancor più dolorose».
La vicenda di Iren in sé ha i tratti archetipici delle privatizzazioni italiane: nata dalla fusione delle municipalizzate di diversi comuni, in primis Torino e Genova – quotate in borsa al termine degli anni novanta – persegue per anni un cammino accidentato fatto di scatole cinesi, svalutazioni e perdita di valore.
Dal comune di Torino sottolineano che nonostante la perdita da parte dei comuni della maggioranza azionaria in Iren, questi mantengono «il controllo della governance» in virtù del cosiddetto «voto maggiorato» che hanno gli azionisti pubblici.
In realtà tale voto vale solo per nomina e revoca del cda, tutte le altre decisioni a partire dal bilancio sino alle modifiche dello statuto – eccetto gli articoli che fanno riferimento al voto maggiorato – passeranno in mano alla nuova maggioranza privata.

SI DOMANDA ANCORA il Comitato di Attac Torino: «Il Movimento 5stelle che si propone di mettere al centro delle proprie politiche i cittadini si  spieghi: di quale colpa i torinesi si sono resi responsabili al punto da doverla espiare? Quale voce in capitolo hanno avuto i cittadini sulle scelte che hanno portato la città ad accumulare un “rosso” da record? Chi ha scelto di gettare AEM (Azienda elettrica municipale) in balìa del mercato, di creare una costosissima “scatola” finanziaria di nome FSU – Finanziaria Sviluppo Utilities srl che, ricordiamolo,  nel 2011 ha dovuto svalutare il capitale di ben 257 milioni di euro?».
In poche parole: perché oltre a svendere, il M5s di Torino non fa luce sulla gestione passata di un bene pubblico quale fu Iren? La pigrizia con cui il Movimento 5 Stelle di governo indaga sulla formazione, in anni remoti, del maxi debito torinese in nome del quale tutto è sacrificabile, è il punto di massima frustrazione per l’elettorato di movimento: quello che fece vincere l’attuale sindaca. La inusuale svalutazione di Fsu nel 2011 fu inoltre segnalata alla Corte dei Conti nel 2013 da diverse associazioni locali, senza ricevere risposta.
Il dogma dell’austerità, o del pilota automatico, per far fronte ai debito, fagocita tutto: dai pezzi di civiltà agli stessi soggetti che lo celebrano. Piero Fassino e Chiara Appendino in primis.