Non è il mercimonio additato nell’aula di Montecitorio dal Pd con i cartelli «Salva Salvini. Boccia la Tav». Non è neppure la «secessione della Lega dal nord» denunciata dalla capogruppo forzista al Senato Anna Maria Bernini. La Lega ha approvato con i 5 Stelle la mozione che i due partiti avevano scritto insieme perché Salvini deve a tutti i costi salvare Di Maio e l’operazione non è a costo zero. Rischia al contrario di rivelarsi esosa.

LA MOZIONE di maggioranza approvata con 261 voti contro 136 e 2 astensioni dice il meno possibile e sfida spudoratamente il principio di non contraddizione. Il progetto, recita infatti il testo, «va ridiscusso integralmente nell’applicazione dell’accordo Italia-Francia». Trattasi di ossimoro, dal momento che per applicare quell’accordo e insieme ridiscuterlo integralmente ci vorrebbe un mago di quelli molto potenti. Ma tant’è: la mozione serve a prendere tempo, inutile andare troppo per il sottile.

NON SI TRATTA PERÒ di un pareggio. Anche se l’ultima parola è rinviata, il voto di ieri costituisce una vittoria dei 5S: se non esclude la ripresa dei lavori del tunnel base sulla tratta Torino-Lione di certo li allontana. Nel documento viene infatti riconosciuto esplicitamente il valore dell’analisi costi-benefici realizzata dal professor Ponti e dai suoi collaboratori e soprattutto la rimessa in discussione integrale implica comunque il blocco dei lavori per un lasso di tempo indefinito. Va da sé che pentastellati e leghisti si rivendano il voto ciascuno interpretandolo a seconda dei propri desideri. I 5 Stelle cantano vittoria: «E’ il giusto modo di procedere. Se devono essere spesi soldi pubblici devono essere fatte verifiche rigorose. L’analisi costi-benefici è lo strumento analitico migliore». La Lega giura che non è cambiato niente: «La posizione è sempre la stessa», assicura il capogruppo Molinari. «Rivedere l’opera, risparmiare dove si può e andare avanti», chiosa Salvini forte anche dell’esplicito appoggio del ministro dell’Economia Tria: «Per me si deve andare avanti».

A MODO LORO ENTRAMBI i soci hanno ragione. I 5S hanno davvero segnato un punto ma la partita non è chiusa e la vera sfida consiste proprio nel riuscire a non chiuderla prima delle elezioni europee. Poi si vedrà. Per pura coincidenza, mentre la Camera votava sulla Tav, al Senato il premier Giuseppe Conte affrontava l’altro elemento di discordia tra le forze di governo, l’autonomia regionale rafforzata, rispondendo a un’interrogazione della capogruppo di LeU Loredana De Petris. Il premier ha svicolato sul nodo delle competenze dalle quali dipende il rispetto o meno del dettato costituzionale sull’eguaglianza dei diritti di tutti i cittadini e non ha preso impegni sulla definizione prioritaria dei Lep, i livelli essenziali di prestazione che andrebbero definiti prima di qualsiasi passo ulteriore. Ha promesso di coinvolgere il Parlamento ma senza tornare indietro apertamente sulla scelta di appellarsi all’articolo 8, quello sulle minoranze religiose, e limitare così il coinvolgimento a un voto secco: prendere o lasciare. In compenso ha garantito che la ripartizione delle risorse si baserà sulla spesa storica e che il fabbisogno standard non verrà valutato basandosi sul gettito fiscale, che comporterebbe la permanenza dei nove decimi del gettito stesso nella regione di provenienza a tutto vantaggio delle aree più ricche del Paese. Di sfuggita, a mezza bocca, ha anche buttato là che comunque per la definizione dell’accordo ci vorranno mesi.

INFATTI CI VOGLIONO MESI, e una tornata elettorale di mezzo, perché Salvini e quel mezzo M5S che mette il governo al di sopra di tutto trovino il modo per arrivare a un compromesso senza che deflagri tutto. Oggi sarebbe impossibile. Dopo le elezioni europee chissà. Con le autonomie sarà più facile: il governatore del Veneto Zaia è politico esperto e dovrebbe capire la situazione.

CON IL TAV LA STRADA è invece in salita. Il cda di Telt e la Commissione europea hanno dato due settimane di tempo all’Italia per la pubblicazione dei bandi per i lavori nel tunnel di base. Ecco perché il ministro Toninelli assicura che «in due settimane troveremo una soluzione condivisa». Facile più a dirsi che a farsi. Il presidente della commissione Ue Juncker fa rullare infatti i tamburi di guerra: «La decisione riguarda Italia e Francia. Vedremo chi la spunterà». E contro lo stop al Tav Corrado Alberto, presidente dell’Associazione piccole e medie imprese di Torino, minaccia «un fermo delle attività produttive».