Dieci anni dopo la strage, la città che ha deciso di abbandonare il passato fordista per abbracciare l’economia del loisir scopre che i suoi operai esistono sempre. Nascosti, inascoltati, oggetto di riflessione sociologica. Lo fa nello stesso modo con cui lo comprese dieci anni fa, con una tragedia: ieri pomeriggio tre operai della Vaber, azienda operante nel settore chimico, hanno rischiato di morire a causa di un potente getto di vapore che li ha investiti durante il processo produttivo di alcune componenti sigillanti per auto.

Giuseppe Gerosa di 76 anni e  Domenico Olpeni 61 anni, sono stati portati al Cto di Torino e al Maria Vittoria. Uno di loro è stato intubato e ha ustioni sul viso: i medici si sono riservati la prognosi. Il più anziano dei tre, un uomo di oltre settanta anni, è un consulente esterno chiamato per l’esecuzione di alcuni lavori di manutenzione all’impianto installato di nuova costruzione. L’altro ferito grave è il capo della linea di produzione: è in rianimazione anche lui per ustioni al volto.
La tragedia capita nel decennale della strage Thyssen Krupp, ricordata dalle autorità cittadine presso il cimitero monumentale di Torino, alla presenza dei famigliari delle vittime. Da dieci anni l’angolo dove sono sepolti Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi è coperto di fiori freschi portati dai famigliari.

L’acciaieria di corso Regina Margherita è chiusa da tempo e al suo posto è prevista la costruzione di un centro commerciale. Rimane il grande platano dove vengono poste lettere e ricordi, simbolo di una tragedia che ha scosso la città per lungo tempo. I famigliari hanno lungamente combattuto in sede giudiziaria, e non solo, per avere giustizia. Processo rimasto a metà dato che l’imputazione di omicidio volontario è stata derubricata a colposo per i massimi responsabili dell’azienda.
Ne ha parlato in termini molto duri ieri Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte: «Indigna il fatto che, complice l’indifferenza della giustizia tedesca, i principali responsabili di quella tragedia siano ancora liberi come se nulla fosse successo».

Harald Espenhahn, ex ad della  Thyssen Krupp Acciai Speciali, e  Gerald Priegnitz, ex consigliere, condannati in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo plurimo al termine del processo per il rogo allo stabilimento di Torino tra il 5 e il 6 dicembre 2007, sono ancora liberi. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha chiesto al suo omologo tedesco che la Germania dia esecuzione al verdetto.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a poche ore dalla sciagura della Vaber di San Mauro aveva dichiarato: «Ogni morte sul lavoro è una perdita irreparabile per l’intera società. E dieci anni fa, nella notte del 5 dicembre 2007, sette operai morirono nell’incendio nell’acciaieria della Thyssen Krupp a Torino. Il lavoro – aveva aggiunto il Presidente della Repubblica – costituisce il cardine del patto di cittadinanza su cui si fonda la nostra Repubblica ed è un diritto del lavoratore e un dovere della società che vengano rispettate ed applicate le norme sulla sicurezza. In questi dieci anni nella prevenzione degli incidenti e nel supporto agli infortunati sul lavoro sono stati fatti passi avanti, ma resta ancora molto da fare per far sì che la sicurezza venga considerata essa stessa un volano che contribuisce allo sviluppo». E aveva rivolto «un solidale e affettuoso saluto» ai famigliari delle vittime «e a coloro che in ogni altra tragedia sul lavoro hanno perso un collega, un amico, un famigliare».

Torino ancora una volta mostra il lato duro della crisi: dopo la strage della Thyssen Krupp l’analisi pose in risalto le condizioni di lavoro operaio sempre più gravate da crisi e delocalizzazioni. Con il miraggio della trasformazione sempre più lontano, incapace di sostituire la classe operaia con i nuovi lavori del turismo e dell’intrattenimento. L’incidente della Vaber, e mille altri che accadono a Torino e in tutta Italia, rende evidente che la competitività ad ogni costo di cui furono vittime i sette operai uccisi dieci anni fa non solo permane, ma raggiunge livelli ancora più acuti.