Torino ha con il sistema spettacolo un rapporto privilegiato rispetto a molte altre città. Del resto Fassino aveva messo la cultura già alle scorse elezioni tra i suoi punti di interesse, e nonostante i tagli che hanno colpito anche qui come dappertutto, è riuscito a mantenere uno standard accettabile.

A Torino del resto la cultura si intreccia da sempre con la storia e la politica: Antonio Gramsci era qui il critico teatrale dell’Avanti, prima di fondare il Pci, e stessa attività svolgeva il padre del pensiero liberale in Italia, Piero Gobetti. E a livello simbolico, l’ascendenza vale perfino per la storia economica e lavorativa di Torino capitale delle lotte.

Il Lingotto, già cuore della fabbrica Fiat, è diventato un grande complesso culturale. Nella ex sala presse Luca Ronconi fece rivivere e gridare contro la guerra Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus, e prima della fine delle repliche divampò davvero la prima guerra del Golfo…

Ronconi è stato poi il punto della “riabilitazione” del teatro stabile, che a cavallo del secolo era stato il luogo di maggior scontro tra cultura e politica: Massimo Castri, regista e direttore, aveva opposto inutilmente ragioni culturali al presidente Re Rebaudengo, che gli preferì Walter Le Moli in una lotta cruenta che spaccò verticalmente il mondo del teatro.

Nell’anno delle olimpiadi invernali, 2006, assieme al lifting di tutta la città, arrivò il grande “Progetto Domani” (con cinque spettacoli ronconiani destinati a essere ricordati), che segnarono anche la riconciliazione della scena con la città. E sempre quell’anno arrivò perfino Harold Pinter, a ritirare il Premio Europa, dopo che la malattia non gli aveva permesso pochi mesi prima di ritirare neanche il Nobel.

Questo per dire quanto vivo sia stato in questi anni il legame tra Torino e il teatro pubblico.

Confermato dalla scelta lungimirante e felice di Mario Martone alla direzione artistica (oggi consulente, con il direttore unico Fonsatti). Il regista, dalle Operette morali alla Carmen riscritta alla coinvolgente Morte di Danton, ha realizzato ogni anno uno spettacolo di qualità e insieme di richiamo per il pubblico, mentre parallelamente ha trovato spazio per proseguire il suo lavoro al cinema e anche nei teatri d’opera.

Del resto anche il lirico Regio ha trovato in Gianandrea Noseda un direttore musicale stabile di livello internazionale . E non si può dimenticare che a Torino risiede l’orchestra sinfonica nazionale della Rai di livello eccellente, sia per bravura che per repertorio, alloggiata anche lei nel rigenerato Lingotto. Un luogo simbolo, dalla madre Fiat in smobilitazione a struttura culturale, almeno nelle scelte di massima, in cui collocare anche lo spirito dei due candidati della “sinistra”, Fassino non certo sordo alla cultura, e Airaudo che testimonia personalmente la tradizione operaia di una città che ne ha avuto lungo tutto il secolo il primato.

Il Teatro stabile (il miglior archivio d’Italia per il teatro) è stato da sempre di eccellente livello, giustamente riconosciuto oggi come “nazionale”.

Direttori importanti, da Trionfo a Missiroli a Ronconi, e perfino una triade di sperimentazione avanzata Fadini-Capriolo-Bartolucci , passati poi il primo allo sperimentalissimo Cabaret Voltaire, il secondo alle traduzioni importanti, il terzo alla coltura delle nuove avanguardie teatrali.

Oggi questa funzione di ricerca e innovazione si aggrega attorno al molto benemerito Festival delle colline (pronto all’edizione 2016, proprio alla vigilia delle elezioni). Con occhi in Italia ma anche oltre le Alpi, resiste bene, riuscendo ad aggirare con l’entusiasmo le ristrettezze finanziarie. Che subisce anche la Fondazione teatro Piemonte Europa di Beppe Navello. Creatura prediletta di Mercedes Bresso quando era governatrice, ambienta la propria rassegna estiva nelle residenze reali sabaude, con un insopprimibile tocco di nostalgia. Quest’anno il programma sembra soprattutto circense, quasi a sottolineare amaramente la scarsità del panem. Dichiaratamente pop la sua attività invernale, dedicata quest’anno a una trasposizione scenica in otto puntate dei Tre moschettieri.

Ma il problema più grosso di Torino (che bisogna ricordare ha anche una struttura Rai ragguardevole, oggi meno utilizzata) sembra l’impossibilità di portare a compimento anche i buoni o migliori propositi.

L’esempio più clamoroso è il Salone del libro in corso. Grande eco mediatica, ma talmente tanti problemi (innanzitutto di bilancio) che Chiamparino e Fassino si erano ingegnati a un totale rinnovamento, facendo nomine in grado di portarlo a compimento. Ma dopo gli entusiasmi dell’estate scorsa, la direttrice designata Giulia Cogoli, che aveva dovuto compiere il “lavoro sporco” di smascherare la cattiva gestione, gli ammanchi e le spese folli della governance precedente, è stata costretta alle dimissioni, senza che i politici battessero un colpo. E son tornati tali e quali la vecchia direzione e l’eredità del passato.

Amen, anche a Torino la politica continua a identificarsi in quel diavolo che faceva solo le pentole, ovvero le promesse.