Cultura

Topos di biblioteca

La People Library durante Occupy Wall Street a New York foto flickrLa People Library durante Occupy Wall Street a New York foto flickr

Storie Dalla People Library di New York ai "parque biblioteca" di Medellin e Rio, ai 15mila volumi sotto una tenda in Sri Lanka: il luogo di nascita dei movimenti politici spesso è una catasta di libri

Pubblicato circa un anno faEdizione del 22 luglio 2023

Capita che i movimenti sociopolitici si facciano largo usando la cultura come strumento di mobilitazione, come detonatore capace di sprigionare energia sociale, ed è stato proprio un ecosistema energetico lo scorso anno a Colombo, in Sri Lanka, ad alimentare le proteste che hanno portato alla cacciata del presidente Gotabaya Rajpaksa, responsabile della peggiore crisi economica nazionale del Paese.

Il collettivo Watchdog (cane da guardia) composto da giornalisti, informatici e statistici e nato nel 2019 per la verifica delle notizie e delle fonti, ha coordinato l’allestimento di una biblioteca. Ci sono riusciti costruendo una rete elettrica saldata a pannelli solari collocati su un camion e collegati a una batteria, capace di alimentare decine di smartphone e illuminare così i 15.000 libri ospitati sotto una tenda: la biblioteca, che Borges chiamava universo.

Gli attivisti hanno capito una cosa fondamentale, ovvero l’importanza dell’uso dei dati open source, utilizzati anche per costruire la mappa delle proteste (e meglio organizzarle e comunicarle, capendone le ragioni) e reclamando risposte puntuali; inoltre in Sri Lanka hanno colto e soddisfatto la necessità per chi manifesta di un luogo condiviso di informazione: della biblioteca come quartier generale.

DI OCCUPY WALL STREET tutti ricordano la maschera di Anonymous, con le fattezze di Guy Fawkes che nel 1605 tentò di far esplodere il Parlamento inglese, e la marcia per le strade newyorkesi vicino Zuccotti Park; pochi sanno che la prima azione di chi protestava è stata la creazione della People Library nell’angolo nord est del parco, anche in questo caso subito centro nevralgico dell’azione dei militanti, luogo di messa a punto di strategie e conferenze stampa.

Il 15 novembre 2011 con l’accampamento dei manifestanti, venne sgombrata anche la biblioteca, distrutti pc e portati in discarica i 4mila volumi che la People Library aveva radunato tra donazioni e acquisizioni.

Ma se la contestazione pacifica contro iniquità economica e sociale, modelli economici di sviluppo e diritti informatici è stata dispersa dopo 59 giorni miglior sorte è toccata ai libri violati: infatti il Comune di New York, portato in tribunale dai gestori dello spazio biblioteca, è stato condannato al risarcimento di quasi 300 mila dollari tra ristori per i danni inflitti ai materiali e spese legali.

ALTRO, PIÙ FELICE, esempio internazionale di un’azione culturale capace di incidere – ribaltandole – sulle sorti di una comunità è quello della città colombiana di Medellìn, sede tra gli anni Settanta e Ottanta dell’organizzazione di narcotrafficanti di Pablo Escobàr, ancora negli anni Novanta tra le più pericolose e violente al mondo, rinata dalle sue ceneri grazie alla messa a punto di un percorso civico e urbanistico che ha affidato alle biblioteche il ruolo di presidi sociali.

In Colombia a inizio anni Duemila è nata una nuova espressione per designare una soluzione nuova: i parque biblioteca, library park, complessi urbani formati da una combinazione di edifici destinati a ospitare l’istituzione biblioteca circondati da ampli spazi verdi.

Ai cinque parchi iniziali se ne sono aggiunti altrettanti tra il 2005 e il 2011, dando impulso anche alla creazione di analogo luogo a Rio de Janeiro, il parque Manguinhos. Sono posti che incoraggiano i cittadini a incontrarsi, svolgere attività educative e ricreative, approcciarsi insieme alle nuove tecnologie, dove soprattutto esprimere il proprio potenziale umano, sociale, creativo. Anche se i tagli ai bilanci di alcune amministrazioni hanno portato al degrado nel tempo, ad esempio, del parque De Espana, l’impatto di questi Parchi sulla vita socioeconomica dei quartieri in cui sono stati realizzati è formidabile, anche in termini di aumento di alfabetizzazione e occupazione.

Che una biblioteca possa essere la pietra angolare su cui costruire la fisionomia urbana e l’identità politica di una nazione se ne sono accorti quasi mezzo secolo fa anche i saharaoui, profughi dal Sahara occidentale occupato dal Marocco; nella capitale della nazione di rifugiati, Rabouni, le persone non sono governate da autorità e vivono dal 1976 nella semi sovranità concessa dall’Algeria, forti di un sistema istituzionale dove accanto a Parlamento e ministeri occupano un posto cruciale la Biblioteca, l’Archivio Nazionale e il Museo.

QUESTO ACCADE nel mondo. Lo racconta Antonella Agnoli nel saggio «La Casa di tutti», edito da Laterza, alla seconda ristampa a un mese dalla pubblicazione. L’esperta di biblioteche, responsabile dell’apertura di molte piazze del sapere, mutuando il titolo di un altro suo libro, da sempre incentra i progetti culturali proposti alle amministrazioni che l’hanno interpellata più sul concetto di spazio sociale condiviso che su quello di patrimonio librario.

Le biblioteche come agorà, luoghi amichevoli di socializzazione e confronto che salvano dalla solitudine di spazi privati inadeguati (in quanto a servizi e a relazioni umane) capaci a un tempo di liberare le persone più giovani dai perimetri dei device e quelle più mature d’età dalla deriva dell’isolamento tecnologico.

IN ITALIA? Con le parabole felici di Lecce e Bologna spiccano esempi di progettualità sopite da disastri politici amministrativi. Il glossario che chiude il libro fornisce i principi costituenti di un progetto politico che vede con l’offerta dei libri anche la costruzione di biblioteche come luoghi accoglienti e militanti.

Da Accessibilità a Utente al centro, passando per Caffetteria e FabLab, il mondo di Agnoli ricorda quello di organizzata e operosa abilità della Comune di Alice in The Good Terrorist di Doris Lessing. Ma se quella era la narrazione di un’utopia (quindi un non luogo) infranta, qui gli spazi e le comunità esistono e possono (potrebbero) lottare insieme a noi.

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